L’elezione di un nuovo Papa è percepita, almeno al di fuori del Vaticano, come un momento sacro, ma anche come una partita strategica con implicazioni globali. Oltre alla spiritualità e alla teologia, il conclave è teatro di un sottile confronto tra continenti, correnti di pensiero e interessi istituzionali. È la scelta di una persona, ma anche di un orientamento per la più grande comunità religiosa del mondo.
Ogni volta che una fumata bianca si alza sopra la Cappella Sistina, il mondo cattolico (e non solo) vive una rivelazione storica. Ma ciò che accade dietro le porte chiuse del conclave è spesso un sottile mix di ispirazione spirituale e strategia politica.
L’elezione è, ufficialmente, il risultato del voto dei cardinali guidati dalla “preghiera e dalla volontà dello Spirito Santo”. Ma in realtà questo momento cruciale per la Chiesa cattolica è anche il riflesso degli equilibri di potere, delle tensioni dottrinali e delle aspettative geopolitiche. Per i cattolici e per tutti gli altri. Nelle righe che seguono non tenterò di formulare una profezia. “Chi sono io per giudicare il futuro”, per parafrasare Francesco I. Tuttavia, sto cercando di radiografare e interpretare – per quanto possibile – parte del meccanismo che si mette in moto quando i 133 cardinali si riuniscono davanti al “Giudizio Universale”, il grande affresco simbolico di Michelangelo .
“Chi entra nel conclave come papa, esce come cardinale”: un detto vaticano dal peso storico verificato nel tempo Jorge Mario Bergoglio, il cardinale argentino, non rientrava tra i “papabili” nel 2013. Aveva la reputazione di uomo modesto e con i piedi per terra, ma non era considerato una forza dietro le quinte del Vaticano. La sua elezione ha sorpreso il mondo intero e ha dimostrato quanto sia imprevedibile il conclave. E tuttavia i cardinali hanno trasmesso un messaggio con cui alcuni di loro non erano d’accordo, ma che hanno dovuto accettare: il mondo cattolico si sta espandendo oltre l’Europa e il Papa deve riflettere questa realtà. Nemmeno il Conclave di domani potrà superare questo stato di cose, in continua trasformazione.
Il detto nel sottotitolo sottolinea la natura imprevedibile del conclave. Spesso i favoriti sono vittime di troppa esposizione o di un’opposizione ben organizzata a porte chiuse. La scelta viene fatta nello spirito dell’ispirazione divina, ma anche di un equilibrio tra gli schieramenti: conservatori e progressisti, europei e non europei, amministratori e pastori, diplomatici e teologi. Si tratta di una negoziazione silenziosa e intensa, in un’atmosfera che si avvicina di più alla divinità rispetto ad altri momenti dell’esistenza perenne della Chiesa cattolica.
In Vaticano si dice che chi entra come favorito spesso esce sconfitto. È una tradizione quasi ironica, ma con radici profonde. Le ragioni sono molteplici: un’eccessiva visibilità attira sospetti o opposizioni, e i favoriti possono diventare bersagli di alleanze informali che cercano soluzioni di compromesso.
Vale la pena ricordare il compromesso tra i gruppi cardinalizi quando fu eletto un “papa di transizione”: Giovanni XXIII, nel 1958. In effetti, si trattò di una transizione, ma non tra due Sommi Pontefici, bensì tra due modi di pensare storici, con prevalenza delle idee del “Papa buono”, che avviò un cambiamento programmatico nell’intera Chiesa cattolica. Il conclave non è quindi una semplice elezione, ma una costruzione complessa, un equilibrio tra sensibilità teologica – pro e contro la riforma – e geopolitica applicata.
Le chance dei cardinali italiani – da 47 anni in calo
L’Italia ha il maggior numero di cardinali elettori e un’influenza storica sulla Curia romana, ma questa stessa realtà gioca a loro sfavore. Dopo anni di predominio italiano, l’elezione di Giovanni Paolo II, Benedetto e poi Francesco I ha creato una tradizione di “esterni”. Un papa italiano l’avrebbe percepito come un ritorno al passato. Molti cardinali fuori dall’Italia guardano con sospetto alla Curia romana, considerandola un meccanismo opaco, burocratico e talvolta anacronistico, nonostante Francesco I si sia sforzato di conferirle una certa trasparenza.
Tuttavia, il Vaticano, stato indipendente, è circondato dal territorio italiano e l’italiano è la “lingua naturale” della Chiesa cattolica dopo quella ufficiale, il latino. Il Papa è anche il Vescovo di Roma. Anche nel Conclave si parla italiano. Ma un territorio di tipo enclave, una lingua e un vescovado sono sufficienti per eleggere un papa? La storia recente ha dimostrato per ben tre volte che non è così.
Ci sono però tre “papabili” italiani: Pietro Parolin, segretario di Stato e artefice dell’Accordo con la Cina, per il quale meriterebbe davvero il soglio pontificio. Il secondo è Matteo Zuppi, cardinale di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, ottimo diplomatico. “Il Trinomio” si conclude con Pierbattista Pizzabala, Patriarca latino di Gerusalemme, profondo conoscitore del Medio Oriente – si è occupato dei profughi di Gaza – con un’apertura verso l’Asia orientale. Tuttavia, tutti e tre sono considerati troppo “nel sistema” (dove ho già sentito questa espressione) per produrre un reale cambiamento. E nel capitolo delle “possibili sorprese” gli italiani sono ben rappresentati: i cardinali Claudio Gugerotti, Fernando Filoni e Paolo Lojudice.
Asia e Africa, continenti dove il cattolicesimo è in ascesa
L’Asia è il continente in cui il numero di cattolici cresce più rapidamente e rappresenta un terreno fertile per il futuro del cattolicesimo. Le Filippine sono da secoli un Paese prevalentemente cattolico, con 85 milioni di fedeli, mentre India, Corea del Sud e Vietnam stanno vivendo una notevole espansione spirituale. Dalle Filippine arriva Luis Antonio Tagle, già arcivescovo di Manila e oggi uno dei più influenti nella Curia romana dove, dal 2019, guida la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. È una figura calorosa e aperta, considerata, per il suo comportamento, il “Francesco dell’Asia”. I calcoli lo collocano al primo posto tra i “papabili” asiatici, seguito dal sudcoreano You Heung-sik. Tagle è considerato troppo vicino all’ex papa e un suo “fedele seguace”, un aspetto positivo per alcuni e negativo per molti.
L’elezione di un papa asiatico avrebbe una forte carica simbolica, soprattutto in un secolo in cui la Chiesa cerca di consolidare la propria presenza in spazi dominati da altre religioni e culture. Inoltre, sarebbe un forte segnale della globalizzazione della Chiesa.
L’Africa ha una delle Chiese cattoliche più dinamiche al mondo: numerosa, socialmente attiva, dedita alla missione, ma teologicamente conservatrice. Cardinali come Peter Appiah Turkson (Ghana) – nominato vincitore dalla France Presse – e Fridolin Ambongo (Repubblica Democratica del Congo) sono rispettati, ma forse non sufficientemente ancorati ai “giochi di Roma”. C’è anche una tacita riluttanza da parte di alcuni cardinali europei o americani nei confronti di una scelta africana, adducendo come motivazione la mancanza di una tradizione teologica matura: una percezione discutibile e forse temporanea. L’elezione di un papa africano è possibile, ma per il momento sembra restare più un orizzonte che una realtà imminente.
L’Europa non italiana: un’opzione di compromesso?
In una Chiesa che cerca l’equilibrio, l’Europa potrebbe offrire una soluzione “centrale”. L’ungherese Péter Erdò, il maltese Mario Grech o il francese Jean-Marc Aveline sono nomi che circolano in modo discreto o diretto. Sono personaggi istituzionali, stimati teologi, ma anche cauti diplomatici.
Pèter Erdò è uno degli ultimi cinque cardinali viventi, ancora papali, nominati da Giovanni Paolo II. La sua influenza in Europa è enorme: tra il 2006 e il 2016 è stato presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali continentali. Potrebbe essere un’opzione per i cardinali europei, ma avrà difficoltà a ottenere i voti degli altri, in assenza di un “compromesso globale”. Per il soglio pontificio sarebbero necessari 90 voti, mentre gli europei ne hanno solo 59. Il maltese Mario Grech potrebbe essere oggetto di un simile compromesso, soprattutto perché proviene da un piccolo Paese senza interessi geopolitici. Dal 2020 è Segretario generale del Sinodo dei vescovi, incarico che gli ha permesso di incontrare tutti i cardinali elettori, provenienti da tutti i continenti, sia a Roma che nelle loro diocesi. È considerato un “mediatore”. Molto buono.
Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia. A suo riguardo, Le Figaro ha recentemente affermato che è il “preferito” di Macron. Un grande vantaggio circondato da un mare di svantaggi. Nato in Algeria da una famiglia pieds noir emigrata in Francia nei primi anni ’60, conosce il mondo arabo e gode della simpatia dei cristiani del Nord Africa e dell’Africa subsahariana francofona. Le sue possibilità non sono molto alte.
Un Papa europeo, ma non italiano, potrebbe rappresentare una “via di transizione” tra tradizione e apertura, tra continuità e rinnovamento. Dopotutto è ciò che molti cardinali cercano: stabilità, ma anche una dose di coraggio proveniente dalla stessa persona. In teoria è possibile…
Nord America: grande influenza, ma non dove dovrebbe essere…
La Chiesa nordamericana è polarizzata e talvolta tesa nei confronti del Vaticano. L’elezione di un Papa proveniente da questo continente potrebbe sollevare interrogativi sull’equilibrio tra liberalismo sociale e tradizione morale di Roma. Alcuni cardinali americani hanno una possibilità, ma è scarsa. Quelli del nord del continente sono 17. Se li contiamo tutti – nord, centro, sud – arriviamo alla bella cifra di 37, il gruppo più numeroso dopo quello europeo. Come nel caso del francese J.M. Aveline, uno di loro, Timothy Dolan (75 anni), arcivescovo di New York, è sostenuto dal capo dello Stato, Donald Trump. Non sarebbe un buon segno per un “papable”, ma i due appartengono alla stessa generazione. È l’unica somiglianza perché Dolan sembra essere l’opposto di Trump. Vicino ai poveri, aperto al dialogo, non conflittuale, è tuttavia conservatore in materia di dottrina.
Meno noto ma con maggiori probabilità è Robert Francis Prevost, statunitense di origine francese, membro influente della Curia, in qualità di Prefetto del Dicastero per i Vescovi. Oltre a questi due, tra i candidati figurano anche il cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago, e il controverso Raymond Burke, da sempre in contrasto con papa Francesco I.
I cardinali americani hanno influenza, soprattutto a livello finanziario, teologico e mediatico. Ma è proprio questa forza a suscitare riserve. Negli Stati Uniti la Chiesa è frammentata tra correnti liberali e conservatrici. Le elezioni nordamericane potrebbero accentuare le polarizzazioni interne. Per dare alla questione una dimensione geopolitica, potrei dire che un Papa proveniente da una superpotenza mondiale porrebbe anche problemi di percezione internazionale. Sebbene si stia discutendo di nomi come quelli sopra menzionati, sembra improbabile che i voti si uniscano attorno a un cardinale nordamericano.
Conclusione: un Conclave aperto – tra cielo e terra
Il futuro Papa non sarà scelto solo per le sue qualità personali, ma per ciò che potrà simboleggiare e, soprattutto, per ciò che vorrà realizzare, tenendo conto però di quanto fatto finora. La Chiesa ha bisogno di continuità nella riforma, ma anche di coerenza dottrinale. Sarà una scelta tra identità e apertura, tra geografia e universalità, tra tradizione e trasformazione. I cardinali Montini, Luciani, Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio hanno proseguito un cammino avviato dal Papa buono, già menzionato, Giovanni XXIII (Roncalli), durante i pochi anni del suo pontificato. Ognuno con le proprie correzioni, ma sapendo che non si può tornare indietro. Chi verrà scelto ora dovrà avere un po’ di ogni dono e un percorso proprio che tenga conto delle trasformazioni del mondo odierno, più complesso che mai.
La fumata bianca annuncia una scelta spirituale, ma in realtà la scelta del Papa è anche una decisione strategica. In una Chiesa globalizzata, stretta tra sfide dottrinali, crisi interne e pressioni esterne, il prossimo Papa dovrà essere non solo un leader religioso, ma anche un fine diplomatico, un comunicatore e un visionario.
Verrà eletto un uomo portatore di continuità o di cambiamento? Proverrà dal Sud del mondo o dal “centro storico” del cristianesimo? Non lo sappiamo ancora. Ma sappiamo per certo che, una volta entrati nel conclave, i cardinali non stanno semplicemente scegliendo un uomo, stanno tracciando la rotta per il futuro della Chiesa cattolica e forse persino del mondo.
George Milosan