L’UE è in pericolo. “Schengen militare” contro Mosca

Diwp

Dic 3, 2025 #esercito, #politica

Una nuova espressione è apparsa nel folklore moderno della Commissione Europea : “Schengen militare”. L’idea alla base è molto semplice. Stiamo parlando di creare una dimensione militare al pilastro fondamentale dell’Unione, ovvero la libera circolazione. Oltre a persone, merci, servizi e capitali, questo includerà truppe, carri armati, navi e attrezzature complesse.

“Quanto più velocemente trasferiremo le nostre forze da una parte all’altra dell’Unione – ci ha detto Kaja Kallas la scorsa settimana, in una conferenza stampa ad hoc – tanto maggiore sarà la nostra capacità di difesa e di deterrenza nei confronti del nemico”. Direi che è un po’ tardi, e il nemico è noto a tutti e non da oggi, da ieri.

I rapporti dei servizi segreti continentali, ripresi in ambito politico, lo dimostrano chiaramente: nei prossimi cinque anni, Mosca potrebbe attaccare un Paese dell’UE o della NATO per testare la capacità di risposta di queste organizzazioni. “La fanteria vince la battaglia, ma la logistica vince la guerra”, ha aggiunto un altro ex primo ministro baltico, il lituano Andrius Kubilius, commissario europeo alla Difesa, citando il generale John Pershing, comandante delle forze americane nella Prima Guerra Mondiale.

Apostolos Tzitzicostas, responsabile greco dei trasporti, completa il testo: “L’Europa è pronta per la pace, ma se vogliamo la pace, prepariamoci alla guerra”. Tutto questo è noto fin dai tempi dei Romani, che inventarono il primo “spazio Schengen” della storia: l’Impero. La loro creazione ebbe anche una dimensione militare, o, più precisamente, la dimensione militare fu in primo piano

E allora, perché Bruxelles è arrivata così in ritardo? Da quasi quattro anni vediamo nuvole di polvere e fumo dall’altra parte del “deserto tartaro”. E se si pensa che la prima conquista dei “nuovi tartari” fu un territorio che un tempo apparteneva a quelli vecchi, veri: la penisola di Crimea. Nelle righe che seguono, lascerò da parte la parte metaforica del mio approccio analitico, cercando di decifrare l’attuale realtà operativa in un contesto che parte dalla Guerra Fredda e si ferma al conflitto in Ucraina. Per ora.

Un quadro normativo e infrastrutturale UE-NATO adeguato e armonizzato
Per gestire la dimensione transatlantica della mobilità militare, la NATO ha istituito due comandi. Il primo è il Joint Force Command Norfolk, nello stato della Virginia, attivo dal 2019 e operativo dal 2021. Il suo compito principale è proteggere le linee di comunicazione strategiche, garantire la sicurezza delle rotte marittime – da Miami al confine nord-orientale della Finlandia – e facilitare la proiezione della potenza militare alleata sul continente europeo.

Il secondo, il Joint Support and Enabling Command (JSEC), con sede a Ulm, in Germania, è stato creato nel 2018 e diventerà operativo tra un mese. Il JSEC ha il compito di facilitare il rapido trasferimento delle capacità dell’Alleanza dove sono necessarie, oltre i confini nazionali, sulla base di un quadro normativo e infrastrutturale adeguato.

L’esempio seguente è pertinente. Il quadro in questione deve consentire, in tempi molto brevi – giorni e persino ore – che carri armati tedeschi o americani, ad esempio, vengano caricati su piattaforme ferroviarie prodotte in Slovacchia, per poi essere immessi nel traffico ferroviario in Polonia o Lituania, sotto il coordinamento norvegese. Semplice, vero? Per non parlare della resistenza fisica dei ponti in Polonia o in altri Paesi a carri armati del peso di diverse decine di tonnellate ciascuno.

I ritardi delle Commissioni Juncker e von del Leyen
A sette anni dalla presentazione del piano d’azione per la mobilità militare in Europa da parte della Commissione Juncker, l’esecutivo europeo della signora von der Leyen lancia questo “Schengen militare”, da realizzare entro il 2027. L’obiettivo di questo nuovo progetto è – come ha sottolineato Kaja Kallas – facilitare lo spostamento di truppe e capacità militari per la difesa dello Stato in difficoltà.

Il pacchetto di misure presentato a metà della scorsa settimana include un regolamento sulla mobilità militare e un sistema di comunicazione ad hoc tra le istituzioni europee e nazionali. Le nuove norme sostituiranno le attuali procedure burocratiche, vecchie di decenni. Alcuni paesi dell’UE, ad esempio, avevano 45 giorni di tempo per autorizzare il passaggio di truppe da un altro paese sul loro territorio per esercitazioni. Ora, il termine è di tre giorni per tutti gli attraversamenti di frontiera e di sei ore per le situazioni di emergenza. La Commissione ha il potere e l’obbligo di formalizzare tali situazioni.

Il pacchetto – denominato “Mobilità Militare” – prevede anche la creazione del “Sistema Europeo di Risposta Avanzata alla Mobilità Militare – EMERS”, istituito sul modello del Meccanismo di Protezione Civile dell’UE. Esso consente l’attivazione di procedure accelerate e l’accesso prioritario delle Forze Armate alle infrastrutture di trasporto.

Meglio dopo…
L’iniziativa autonoma della Commissione Europea di creare questo “Schengen militare” non è propriamente autonoma. Basta collegarla ai dati del JSEC di Ulm. Si tratta della risposta odierna di Bruxelles ad alcune vecchie richieste dell’Alleanza, divenute più stringenti nel contesto del conflitto in Ucraina e delle tendenze espansionistiche di Mosca.

Durante la Guerra Fredda, fu sviluppato e implementato il cosiddetto Comando Alleato Europa Mobile Force-Land, una forza multinazionale creata nel 1960 – delle dimensioni di una brigata – pronta al combattimento entro 48 ore. Veniva inviata rapidamente al confine dello Stato attaccato dal nemico e doveva resistere fino all’arrivo di altre truppe d’intervento. Le rotte erano libere e la capacità logistica migliorò nel tempo, diventando una priorità a livello di Alleanza.

Su finanziamenti, corridoi e “punti caldi”
In termini di finanziamento, Kaja Kallas propone che il “quadro finanziario pluriennale” – proposto dalla Commissione e analizzato dal Parlamento europeo – preveda 177 miliardi di euro per “infrastrutture di trasporto a duplice uso”. Tale importo si aggiunge all’impegno dei membri della NATO di destinare l’1,5% del PIL agli investimenti nel segmento della sicurezza. Le priorità riguardano la riabilitazione e la ristrutturazione dei “500 nodi critici” situati sui corridoi militari fondamentali – quattro in totale – che attraversano l’Unione da ovest a est. Si tratta di ponti, gallerie, strade e ferrovie che non hanno la capacità fisica di supportare il trasferimento di forze in aree di potenziale o imminente pericolo.

Uno sguardo ai corridoi sopra menzionati mostra che, storicamente parlando, quello settentrionale: Paesi Bassi – Germania – Polonia – Stati baltici – Ucraina è molto più avanzato degli altri. Quello meridionale – Italia – Albania – Bulgaria – ha ricevuto meno risorse, pur avendo una certa rilevanza in termini di stabilità nella regione dei Balcani e del Mediterraneo orientale.

Breve conclusione
L’invasione dell’Ucraina ha conferito un nuovo significato materiale al termine “emergenza”, correlato allo spostamento di forze militari all’interno dell’UE per rispondere efficacemente alle minacce esterne. Il pacchetto “Mobilità Militare” – questo “Schengen Militare”, così come è entrato nella coscienza degli europei – è un elemento cruciale di un sistema di garanzie difensive incentrato sulla complementarità UE-NATO.

In un contesto politico instabile – con una guerra ai confini dell’Unione e una guerra ibrida al suo interno – in cui la Casa Bianca sta ridefinendo il ruolo degli Stati Uniti come garanti della sicurezza europea, lo spazio “Schengen militare” non dovrebbe essere interpretato come una metafora. È una necessità strategica. Una vera e propria chiave di volta nell’architettura difensiva del continente nel XXI secolo. Non credo che ci saranno stati o personalità politiche che sosterranno che uno o l’altro dei membri dello “Spazio Schengen” non soddisferebbe i requisiti per l’adesione nella sua versione militare. Vienna e L’Aia, avete capito?

George Milosan

Di wp