Leone XIV: Il Pontefice dei Ponti. Tra Tradizione e Rinnovamento

“Il male non prevarrà, siamo tutti nelle mani di Dio. Senza paura, uniti mano nella mano andiamo avanti, siamo discepoli di Cristo.” Con queste parole forti e cariche di speranza, il nuovo pontefice, Robert Francis Prevost, si è affacciato dalla Loggia delle Benedizioni, acclamato dalla folla con il grido “Leone, Leone”. È il primo papa agostiniano dopo secoli, e ha scelto il nome Leone XIV, evocando forza, guida e una certa continuità storica con i pontefici che nei momenti cruciali della Chiesa hanno saputo essere pastori e difensori della fede.

Il suo primo discorso, profondamente spirituale e al tempo stesso profondamente umano, è stato un richiamo potente alla centralità di Cristo nella vita del mondo. “Il mondo ha bisogno della sua luce – ha detto – l’umanità necessita di Lui per essere raggiunta da Dio e dal suo amore.” È un messaggio che risuona in tempi di divisioni, conflitti, disorientamento morale e crisi ambientali. E in esso si coglie subito il tratto distintivo del nuovo papa: la volontà di costruire ponti.

Non è un caso che nel suo primo messaggio, Papa Leone XIV abbia usato l’immagine del ponte, richiamando indirettamente l’etimologia stessa del titolo pontifex, il costruttore di ponti. “Aiutateci anche voi a costruire i ponti con il dialogo e con l’incontro – ha detto – per essere un solo popolo, per essere in pace”. Una visione inclusiva e missionaria, che mette al centro la comunione, il dialogo tra le culture, le religioni e le sensibilità dentro e fuori la Chiesa.

Il motto del suo perido da Cardinale, In Illo Uno Unum – “Nell’unico Cristo siamo Uno” – sembra quasi un programma teologico e pastorale per un’epoca che chiede unità, pur nella diversità. Un motto che risuona particolarmente significativo nel 1700º anniversario del Concilio di Nicea (325 d.C.), il primo grande concilio ecumenico che riaffermò l’unità della fede cristiana attraverso il simbolo del Credo. Non è difficile leggere in questa scelta la volontà di Papa Leone XIV di guidare la Chiesa verso una rinnovata coesione interna, senza però chiudere le porte all’ascolto, al dialogo e alla misericordia.

Robert Francis Prevost arriva al soglio pontificio con un profilo che ha attirato l’attenzione per il suo equilibrio tra apertura e ortodossia. Agostiniano, missionario in Perù per molti anni, ha sempre mostrato una grande attenzione alle realtà periferiche della Chiesa e alle fragilità del mondo. Considerato progressista su temi come l’accoglienza dei migranti, la lotta al cambiamento climatico e la vicinanza ai poveri, Prevost si è invece mantenuto più cauto e conservatore sui temi legati alla morale sessuale, ai diritti civili e all’ordinamento ecclesiastico.

Questa duplice anima potrebbe essere la chiave per comprendere il suo pontificato: la fedeltà alla dottrina accompagnata da una pastorale della misericordia e del dialogo. È quanto ha dimostrato anche nel 2023, quando da prefetto del Dicastero per i Vescovi e insieme al cardinale Parolin, ha saputo gestire con equilibrio la complessa questione del Cammino sinodale tedesco. Un processo che rischiava di sfociare in uno scisma, a causa delle sue proposte ritenute troppo avanzate su temi come il sacerdozio femminile, il celibato e la benedizione delle coppie omosessuali. Prevost è riuscito a riportare il confronto entro i confini dell’ortodossia, ma senza umiliare le istanze espresse, segno di una leadership capace di ascoltare senza cedere all’imposizione autoritaria.

Il richiamo all’unità, che è stato filo conduttore del suo discorso d’esordio, non è solo un invito spirituale ma anche una risposta concreta alle sfide che la Chiesa contemporanea si trova ad affrontare. La frammentazione interna, le differenze tra le diocesi del nord e del sud del mondo, le tensioni tra tradizionalisti e progressisti, sono tutte dinamiche che mettono alla prova la tenuta della Chiesa universale. Il Papa agostiniano pare voler rispondere a tutto questo con il metodo della sinodalità: camminare insieme, ascoltarsi, discernere.

Non a caso, il suo pontificato nasce all’indomani del Sinodo sulla sinodalità, fortemente voluto da Papa Francesco. Prevost, che ha partecipato attivamente a quel processo, sembra volerlo proseguire, con l’intento di non perdere il senso del “noi” ecclesiale, così caro a Sant’Agostino. Per lui, l’unità non è uniformità, ma comunione nell’unico Cristo.

Le prime immagini del nuovo papa, visibilmente emozionato mentre benedice la folla in una piazza San Pietro gremita, mostrano un uomo consapevole del peso del compito che lo attende. Eppure, nel suo volto e nelle sue parole traspare una serenità profonda, come quella di chi si sente strumento e non protagonista. La sua scelta di presentarsi semplicemente come “un agostiniano, un discepolo di Cristo” ha colpito per la sua umiltà, evocando un’idea di papato che è più servizio che potere.

La sua elezione, avvenuta dopo un conclave breve ma intenso, è stata salutata da molti come un segno di continuità con il pontificato di Francesco, ma anche come l’inizio di una nuova fase, forse più attenta al consolidamento dell’unità ecclesiale dopo anni di profonde trasformazioni.

Il pontificato di Leone XIV si apre dunque sotto il segno dell’incontro, del dialogo e della costruzione. È una chiamata a tutta la Chiesa – clero, laici, religiosi – a rimboccarsi le maniche per tornare a essere comunità missionaria, testimone dell’amore di Dio nel mondo. Una Chiesa che non teme le sfide, ma le affronta con fede, consapevole che la luce di Cristo può ancora orientare i cuori degli uomini.

Il nuovo papa non promette soluzioni facili, ma indica una direzione: quella del Vangelo, vissuto con radicalità, compassione e coerenza. E nel suo nome – Leone – riecheggia la forza di chi è chiamato a guidare non come un sovrano, ma come un pastore che conosce le sue pecore e cammina con loro.

Marco Baratto

Di wp