Al Signor Presidente della Repubblica d’Angola
Signor Presidente João Lourenço,
Le scrivo non come oppositore politico, ma come fratello nell’umanità e, ancor più, come membro della Chiesa che prega e lavora per il bene dei popoli. Le scrivo da Roma, non a nome di un’istituzione, ma per dovere di coscienza e fedeltà al Vangelo della giustizia e della pace.
Sto seguendo, con preoccupazione e dolore, i recenti avvenimenti nella città di Luanda — l’insoddisfazione del popolo, le proteste, la risposta dello Stato. Ma ciò che più mi inquieta è il tono del Suo recente intervento pubblico, che sembra ridurre la legittima espressione popolare ad atti di premeditazione e disordine. È importante dirlo con chiarezza: ciò che accade nelle strade di Luanda non è uno spettacolo messo in scena, né una manipolazione. È dolore reale. È il risultato di anni di promesse non mantenute, di esclusione, di povertà persistente e di silenzio istituzionale di fronte ai bisogni concreti del popolo.
Il popolo angolano non desidera la violenza. Desidera dignità. Desidera ascolto. Vuole che chi governa lo faccia con il cuore rivolto al bene comune, e non soltanto al controllo o al mantenimento di un ordine apparente.
Signor Presidente, mi permetta di dirglielo con rispetto, ma con fermezza: la polizia nazionale non può essere utilizzata come strumento di repressione, tanto meno come agente di condanna a morte. Ogni volta che un giovane muore per mano della polizia, muore anche una parte della nostra umanità comune. Il compito della polizia, in una società giusta, è proteggere la vita, non eliminarla. È garantire l’ordine, non imporlo con la forza. È difendere il popolo, non intimidirlo.
Quando lo Stato risponde con le armi a ciò che dovrebbe affrontare con il dialogo, dichiara di non saper più ascoltare. La repressione non risolve il problema — lo nasconde soltanto. E, come insegna la storia, ciò che viene nascosto torna a galla, quasi sempre con maggiore dolore.
La Chiesa Cattolica insegna che il potere è servizio. Un Presidente dev’essere il primo a saper ascoltare, ad accogliere le critiche, a correggere la rotta quando necessario. Il Vangelo che molti di noi professano richiede compassione, verità, umiltà e coraggio morale.
I social media, tanto criticati da alcuni, non sono nemici. Sono oggi un’estensione della coscienza collettiva. Possono essere usati per il bene o per il male, come ogni strumento umano, ma ignorarli o screditarli significa rifiutare di ascoltare ciò che il popolo ha da dire.
Non Le scrivo per confrontarLa, ma per chiederLe, in nome della fede che entrambi conosciamo, di ascoltare. Di andare incontro. Di non cedere alla tentazione di governare nella paura, ma nella fiducia nel popolo che La ha eletto.
La pace non si costruisce con discorsi difensivi né con un eccesso di polizia. Si costruisce con giustizia sociale, con opportunità reali, con trasparenza, con ascolto attivo. Si costruisce con la vita, mai con la morte.
La invito, umilmente, a rivedere le Sue parole, a rifare i Suoi gesti e a camminare verso il popolo, non contro di esso. L’Angola di oggi ha bisogno di leader con coraggio morale, non solo di autorità istituzionale.
Che Dio, fonte di ogni giustizia, La illumini e La fortifichi. Che lo Spirito Santo Le doni discernimento. E che la vita di ogni angolano sia trattata con il valore sacro che ha agli occhi del Creatore.
Roma, 1° agosto 2025
Con spirito di verità e riconciliazione,
Pedro Paulino Sampaio