Fine delle Illusioni: La Lettera di Benedetto XVI Smonta le tesi del “doppio Papa”

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Ago 7, 2025 #politica

La pubblicazione integrale della lettera che papa emerito Benedetto XVI scrisse il 21 agosto 2014 a monsignor Nicola Bux rappresenta un momento decisivo nella recente storia della Chiesa. Si tratta di un documento che, con chiarezza teologica e precisione canonica, mette fine a una lunga scia di equivoci, fantasie e strumentalizzazioni che hanno accompagnato, e in alcuni casi avvelenato, il dibattito sulla legittimità della rinuncia di Joseph Ratzinger e sul ruolo da lui assunto dopo l’abdicazione del febbraio 2013.

Per la prima volta, la lettera viene resa pubblica come appendice al libro “Realtà e Utopia nella Chiesa”, scritto da monsignor Nicola Bux e Vito Palmiotti per I Libri della Bussola. Un libro destinato a lasciare il segno, perché non si limita a pubblicare un documento storico eccezionale, ma lo contestualizza in un’analisi serrata della crisi della fede nella Chiesa contemporanea, e delle sue derive più insidiose.

Il passaggio centrale della lettera è inequivocabile: «Dire che nella mia rinuncia avrei lasciato “solo l’esercizio del ministero e non anche il munus” è contrario alla chiara dottrina dogmatica-canonica». Con queste parole, Benedetto XVI smentisce categoricamente le teorie secondo cui avrebbe rinunciato solo “all’esercizio” del papato, mantenendone in qualche modo il “munus” (cioè l’essenza sacramentale e giuridica). Un’interpretazione che, negli anni, ha alimentato il mito del “vero Papa ancora in carica”, portando alcuni a negare la legittimità del pontificato di Francesco.

La lucidità con cui Ratzinger demolisce queste costruzioni arbitrarie, nate più dalla paura e dall’ideologia che dalla ragione teologica, è disarmante. Il papa emerito rivendica come «pienamente valida» la sua rinuncia e difende il parallelismo con la figura del vescovo diocesano che, in caso di dimissioni, abbandona il governo della diocesi ma resta vescovo per sempre. Così anche il papa, una volta rinunciatario, non esercita più il ministero petrino, pur restando “vescovo emerito di Roma”.

Altro passaggio significativo della lettera è la condanna esplicita delle insinuazioni circa uno “scisma strisciante”: «Se alcuni giornalisti parlano “di scisma strisciante” non meritano nessuna attenzione». È una risposta netta, che liquida con fermezza chi ha tentato di costruire un dualismo tra Ratzinger e Bergoglio, tra “due papi” in competizione, tra una Chiesa “ufficiale” e una “residuale ma autentica”.

Benedetto XVI si colloca invece nel solco della continuità. E difende anche il diritto di un papa a esprimersi pubblicamente su temi di fede e cultura dopo la rinuncia, come ha fatto lui con i libri su Gesù: scritti “non da papa”, ma da teologo, come parte di una “missione del Signore” che non si esaurisce con l’ufficio petrino.

Le teorie che per anni hanno cercato di decifrare un fantomatico “Codice Ratzinger” – un piano sotterraneo, quasi esoterico, in cui Benedetto avrebbe orchestrato la propria rinuncia per denunciare una Chiesa corrotta o per conservare una forma superiore di papato spirituale – appaiono ora per quello che sono: costruzioni illusorie, prive di fondamento. L’idea stessa che ci siano stati due papi “in competizione” viene ridotta a pura speculazione.

Chi insiste su queste tesi, e su assurdità come il “conclave a 25”, viene smentito con la forza dei fatti e delle parole dello stesso Ratzinger. La sua mens, finalmente resa pubblica, è chiara: un solo papa, un’unica sede, un’unica Chiesa visibile.

Oltre al carteggio, il libro di Bux e Palmiotti offre una riflessione teologica penetrante sullo stato della Chiesa. Si contrappone il “principio di realtà” incarnato da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – uomini di fede ancorata alla verità e alla ragione – all’utopismo di papa Francesco, letto criticamente come continuità con una linea ecclesiale già prefigurata da figure come monsignor Tonino Bello.

È qui che emerge il nodo del problema: la crisi di fede che attraversa oggi la Chiesa non è soltanto dottrinale o pastorale, ma anche antropologica e spirituale. E non basta evocare “il popolo di Dio in cammino” per nascondere la confusione o l’ambiguità.

Il documento di Benedetto XVI pubblicato in “Realtà e Utopia nella Chiesa” non è solo un pezzo da collezione o una curiosità storica: è un atto di verità. È la parola definitiva di un papa teologo che ha scelto di rinunciare per amore della Chiesa, non per creare una frattura. Chi ancora oggi alimenta l’ambiguità tra papa emerito e papa regnante, tra Ratzinger e Bergoglio, si trova ora senza alibi.

In un tempo in cui proliferano i “falsi profeti” e i sedicenti interpreti del “vero papato”, il messaggio di Benedetto XVI è un richiamo potente all’unità ecclesiale e al realismo della fede. Non c’è spazio per doppi giochi spirituali o dietrologie mistico-politiche. Esiste solo il magistero della Chiesa, il successore di Pietro e la responsabilità della fede, nella verità e nella carità.

In questo quadro, non si può trascurare l’atteggiamento di Papa Francesco nei confronti del suo predecessore. Sin dall’inizio del suo pontificato, Bergoglio ha mostrato un rispetto sincero e affettuoso per Benedetto XVI, definendolo più volte «un nonno saggio a casa», un punto di riferimento spirituale e teologico che non ha mai considerato un rivale, ma un alleato silenzioso nella custodia della fede. Il rapporto tra i due non è mai stato conflittuale, come alcuni hanno voluto insinuare, ma segnato da stima reciproca e continuità.

Francesco si è recato più volte a far visita a Benedetto, lo ha coinvolto in momenti significativi, come il Concistoro e l’Anno della Fede, e ha sempre rigettato qualsiasi lettura divisiva tra “due papi”, riaffermando con chiarezza che il solo successore legittimo di Pietro è colui che regge il pontificato attivo. Questa attenzione personale e istituzionale è stata anche una forma di catechesi visiva sulla corretta comprensione del ministero petrino e del ruolo del papa emerito: non un “papa dimezzato” o un “papa parallelo”, ma un vescovo in preghiera che ha lasciato pienamente e consapevolmente il governo della Chiesa.

Marco Baratto

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