La rotta artica dietro la pace in Ucraina

Diwp

Ago 14, 2025 #politica, #Russia

Quando il consigliere del Cremlino Yuri Ushakov ha annunciato che, dopo il vertice in Alaska del 15 agosto, il prossimo incontro tra Vladimir Putin e Donald Trump potrebbe tenersi in territorio russo, non si è trattato di una semplice nota di protocollo. Dietro le sue parole si intravede un disegno strategico di lungo periodo, un mosaico in cui ogni tessera – dalla scelta geografica dei luoghi agli equilibri geopolitici globali – si incastra con precisione chirurgica.

L’Alaska, di per sé, non è un luogo qualsiasi. È il punto di contatto più vicino tra Russia e Stati Uniti, separati da poche decine di chilometri nello Stretto di Bering. Organizzare lì un vertice di così alto livello significa puntare su un simbolismo immediato: due potenze che, letteralmente, si affacciano l’una sull’altra e che possono, con un passo deciso, avvicinarsi non solo fisicamente ma anche politicamente. Ushakov lo ha sottolineato con semplicità: “Siamo vicini di casa, confinanti. È logico incontrarsi qui”. Dietro questa apparente ovvietà, si nasconde la scelta di un terreno neutrale ma intrinsecamente bilaterale.


Il XX secolo è stato dominato da summit in capitali simbolo della diplomazia internazionale: Ginevra, Vienna, Washington, Mosca. Ma l’Alaska segna una rottura: non una città cosmopolita, ma una regione remota, naturale, ai margini della percezione delle masse, ma al centro di un nuovo asse strategico. L’asse Alaska–Cukotka non è solo una questione di vicinanza geografica: è un corridoio potenziale per la nuova rotta artica, il collegamento marittimo che, grazie allo scioglimento parziale dei ghiacci e agli sviluppi tecnologici, promette di ridurre drasticamente i tempi di trasporto tra Asia, America e Europa settentrionale.

E qui si entra nel cuore della strategia.


Gli Stati Uniti e la Russia, storicamente rivali, si trovano oggi davanti a un interesse comune: il controllo e lo sviluppo della rotta artica. Questo passaggio marittimo, se pienamente operativo, può rivoluzionare la logistica globale. Il tragitto Asia–Europa, che via Suez richiede settimane, potrebbe essere compiuto in pochi giorni in più rispetto a un collegamento transpacifico, ma con vantaggi economici enormi in termini di carburante, sicurezza e tasse di transito.

Non è un caso che la Cina abbia negli ultimi anni cercato di proporsi come “Stato vicino all’Artico”, spingendo per inserire la rotta polare nella sua Belt and Road Initiative. Ma un accordo bilaterale USA–Russia, fondato su cooperazione infrastrutturale, controllo delle rotte e gestione congiunta dei porti strategici, ridurrebbe drasticamente il margine d’azione di Pechino.


Il nodo ucraino, in questo scenario, diventa una variabile geopolitica da risolvere rapidamente. Per avviare un progetto di cooperazione artica tra Washington e Mosca, la tensione militare in Europa orientale deve essere allentata. Gli Stati Uniti, spinti da interessi economici e strategici, potrebbero essere disposti a ridimensionare il proprio coinvolgimento diretto in Ucraina, incentivando Kiev a un accordo negoziale che, di fatto, congeli il conflitto o lo chiuda con concessioni territoriali alla Russia.

Questa scelta comporterebbe conseguenze pesanti per l’Europa. Bruxelles si troverebbe di fronte a un’alleanza di fatto tra le due superpotenze, esclusa dal progetto artico e marginalizzata sul piano economico. La centralità dei porti europei e delle rotte commerciali mediterranee verrebbe erosa, mentre la partnership USA–UE subirebbe un duro colpo di fiducia.


Se si volesse schematizzare il potenziale “capolavoro diplomatico” che si profila, le mosse sarebbero tre:

Risoluzione pragmatica del conflitto ucraino: cessate il fuoco, stabilizzazione della linea del fronte, riconoscimento tacito di nuovi confini.

Sviluppo congiunto della rotta artica: investimenti in porti, rompighiaccio, logistica e telecomunicazioni tra Alaska e Cukotka.

Riposizionamento degli equilibri globali: marginalizzazione della Cina nel commercio polare e riduzione del peso strategico dell’Europa.

Questa sequenza non è frutto di un improvviso avvicinamento sentimentale tra Washington e Mosca, ma di una convergenza d’interessi fredda e calcolata.


La Cina, relegata ai margini della rotta artica, sarebbe costretta a puntare con maggiore intensità sul rafforzamento dei corridoi terrestri attraverso Asia centrale e Medio Oriente, con costi e tempi più elevati. Potrebbe anche cercare di fomentare divisioni interne tra USA e Russia, ad esempio alimentando tensioni sul controllo delle risorse minerarie nell’Artico o sulla gestione delle aree di pesca.

L’Europa, invece, si troverebbe in una condizione di “doppiamente esclusa”: non più indispensabile agli Stati Uniti per la sicurezza dell’Est, e non centrale nei nuovi flussi commerciali. Ciò potrebbe accelerare processi di autonomia strategica europea, ma anche aumentare le fratture interne tra Paesi filo-USA e Paesi più inclini a un dialogo con Mosca.

L’elemento simbolico: dalla frontiera alla partnership
La scelta di incontrarsi in Alaska e, in futuro, in Cukotka, non è solo un calcolo logistico. È un segnale visivo potente: due leader che si incontrano ai confini delle loro nazioni, in terre che storicamente evocano l’idea di frontiera, esplorazione, risorse naturali e resilienza. Un’immagine che comunica, soprattutto agli elettorati interni, che il dialogo non avviene nei salotti dorati della diplomazia europea, ma “sul campo”, in luoghi che incarnano la realtà fisica della vicinanza USA–Russia.

Per Putin, è un modo di riaffermare che la Russia è una potenza artica di primo piano e che il Cremlino sa attrarre interlocutori di peso fino al proprio estremo confine. Per Trump, è la dimostrazione di poter chiudere un capitolo di tensione ereditato e di aprirne uno di cooperazione vantaggiosa per l’America.

Conclusione: un capolavoro che riscrive le mappe
Se davvero il vertice in Alaska porterà, a cascata, a un secondo incontro in Cukotka e a un accordo operativo sulla rotta artica, ci troveremmo di fronte a un cambio di paradigma. La Guerra Fredda aveva una linea di divisione netta tra le due potenze; il XXI secolo potrebbe inaugurare invece un’area di intersezione strategica, dove la cooperazione su un obiettivo economico e logistico comune prevale sulle rivalità storiche.

La pace in Ucraina, in questo scenario, non sarebbe solo il frutto di mediazioni politiche, ma la condizione necessaria per aprire un corridoio commerciale che potrebbe spostare il baricentro del commercio mondiale. Europa e Cina, grandi protagonisti dell’ultimo trentennio, rischierebbero di diventare comparse in un copione scritto a quattro mani da Washington e Mosca.

Un capolavoro? Dal punto di vista di chi lo concepisce, senza dubbio. Un atto che unisce geografia e strategia, economia e diplomazia, in un’operazione tanto silenziosa quanto dirompente. Dal Bering alla pace: così si ridisegna il mondo.

Di wp