Il 4 settembre 2025, in Vaticano, si è svolto un incontro carico di significati simbolici e politici: Papa Leone XIV ha ricevuto in udienza il Presidente dello Stato di Israele, Isaac Herzog, in un momento di drammatica tensione per il Medio Oriente. La visita, seguita da colloqui con il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin e con l’arcivescovo Paul R. Gallagher, si colloca in un contesto segnato dal protrarsi del conflitto a Gaza, dalle violenze in Cisgiordania e dall’incertezza che grava sul futuro della regione.
Il comunicato della Sala Stampa della Santa Sede parla chiaro: il Pontefice e i suoi collaboratori hanno insistito sulla necessità di riprendere con decisione i negoziati, auspicando “la liberazione di tutti gli ostaggi, un cessate-il-fuoco permanente, l’ingresso sicuro degli aiuti umanitari e il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario”. Ma il cuore del messaggio vaticano è la riaffermazione, con fermezza, della soluzione dei due Stati come “unica via d’uscita dalla guerra in corso”.
Una posizione storica ribadita con forza
La Santa Sede non è nuova a tale posizione. Fin dagli anni Novanta, dopo gli Accordi di Oslo, il Vaticano ha sostenuto l’idea di una convivenza pacifica tra due popoli attraverso la creazione di due entità statali indipendenti e riconosciute. Tuttavia, nel comunicato del 4 settembre, la formula non appare come un’opzione tra le tante, bensì come l’unica strada percorribile. È un passaggio rilevante: Leone XIV, proseguendo l’impegno dei suoi predecessori, eleva questa prospettiva a principio irrinunciabile, indicandola come l’unico orizzonte in grado di garantire pace e stabilità.
In un tempo in cui le trattative sono paralizzate e le parti sembrano incapaci di dialogo, il richiamo della Santa Sede assume il valore di un appello profetico: un invito non solo a Israele e Palestina, ma anche alla comunità internazionale, a farsi parte attiva nella ricerca di soluzioni coraggiose.
Gaza e Cisgiordania: le urgenze sul tavolo
I colloqui hanno dedicato particolare attenzione alla “tragica situazione a Gaza”. Da mesi, la Striscia è al centro di un conflitto che ha prodotto migliaia di vittime civili, distruzione massiccia e una crisi umanitaria senza precedenti. Il Vaticano chiede che gli aiuti possano raggiungere la popolazione senza ostacoli e ribadisce la centralità del diritto umanitario, troppo spesso violato nelle logiche di guerra.
Non meno rilevante è stato il riferimento alla Cisgiordania, dove l’escalation di violenze, gli scontri e le tensioni legate agli insediamenti rischiano di minare ogni ipotesi di negoziato futuro. Il richiamo a Gerusalemme, poi, conferma la preoccupazione della Santa Sede per una città che, pur essendo sacra alle tre religioni monoteiste, rimane terreno di contese e rivendicazioni. Da decenni il Vaticano sostiene la necessità di uno statuto speciale internazionale per Gerusalemme, capace di garantire la tutela dei luoghi santi e il rispetto delle diverse comunità religiose.
Il peso delle comunità cristiane
Un altro aspetto affrontato nei colloqui riguarda la condizione delle comunità cristiane in Israele, in Palestina e in tutto il Medio Oriente. La Santa Sede non perde occasione per sottolineare il valore storico e sociale dei cristiani in quelle terre, non solo come custodi di una tradizione religiosa millenaria, ma anche come promotori di coesione sociale, istruzione e sviluppo umano.
Il futuro dei cristiani in Medio Oriente è spesso incerto, tra pressioni politiche, emigrazione e conflitti. L’accento posto da Leone XIV e dai suoi collaboratori indica la volontà di difendere queste comunità come parte integrante del tessuto regionale, capaci di offrire un contributo insostituibile alla riconciliazione.
Una diplomazia della pace
Il messaggio del Papa si inserisce nel solco della cosiddetta “diplomazia della pace” vaticana, che privilegia il dialogo, la mediazione e il rispetto del diritto internazionale. Nonostante il Vaticano non disponga di strumenti politici o militari, la sua forza morale resta significativa. L’udienza ad Herzog, a ridosso di un conflitto così acceso, diventa quindi un gesto che va oltre la cortesia diplomatica: rappresenta una presa di posizione precisa, che richiama entrambi i popoli, e il mondo intero, a un’assunzione di responsabilità.
Il richiamo alla comunità internazionale non è marginale. Leone XIV chiede il sostegno esterno per facilitare il dialogo, consapevole che senza pressioni e garanzie esterne sarà difficile sbloccare la situazione. Gli appelli a “decisioni coraggiose” e “disponibilità al negoziato” si rivolgono tanto ai leader israeliani e palestinesi quanto ai grandi attori globali, dall’ONU agli Stati Uniti, dall’Unione Europea ai Paesi arabi.
Due Stati come unica via
Ribadire la soluzione dei due Stati come “unica via d’uscita” significa affermare che altre opzioni — annessioni unilaterali, status quo indefinito, soluzioni provvisorie — non sono sostenibili né giuste. Per la Santa Sede, la pace non può basarsi sull’imposizione, ma solo sul riconoscimento reciproco delle legittime aspirazioni.
Il messaggio si fa tanto più forte in un contesto in cui l’opinione pubblica internazionale appare divisa, e in cui alcuni attori sembrano considerare superata o irrealizzabile la prospettiva dei due Stati. Leone XIV, invece, insiste: senza giustizia e senza riconciliazione, non vi sarà pace duratura.
Conclusione
L’udienza del 4 settembre segna dunque un passaggio importante nella diplomazia vaticana. Non si è trattato solo di un incontro formale con il Presidente di Israele, ma di un’occasione per riaffermare con decisione la posizione della Chiesa: due popoli, due Stati, come unico cammino per uscire dalla spirale di violenza.
In un Medio Oriente dilaniato dai conflitti e dalle divisioni, la voce di Leone XIV si alza come richiamo alla coscienza universale: la pace è possibile, ma richiede coraggio, volontà politica e il riconoscimento della dignità di ogni persona. La storia giudicherà se questo appello sarà accolto o resterà, ancora una volta, un monito inascoltato.