L’annuncio dell’ingresso del Marocco nel Consiglio Esecutivo dell’UNESCO non si è trattato semplicemente di un documento amministrativo negli annali delle nazioni, ma di un appello della storia al presente: sollevatevi, perché il tempo non può essere invertito, ma deve essere riconquistato. Era come se le voci di Ibn Khaldun, Al-Farabi e Al-Mas’udi echeggiassero dall’oscurità dei secoli passati, proclamando che la civiltà non è una reliquia esposta nei musei, ma un’entità vivente che respira l’aria del presente e scrive il suo testamento per il domani. Ibn Khaldun disse: “L’uomo è il prodotto delle sue abitudini, non della sua natura”, come se si rivolgesse a noi oggi. La cultura non è un colore dipinto sui muri, né una fotografia catturata da un obiettivo, ma un’abitudine costante radicata nel pensiero, nel carattere e nel comportamento. L’ingresso del Marocco in questo Consiglio è un ritorno a quell’abitudine primordiale: l’abitudine di costruire con inchiostro e intelletto, non con cemento e luce.
La cultura marocchina odierna ha indossato l’abito di una sposa, ma non la sposa di un presente superficiale; piuttosto, la sposa di tutti i tempi. Cammina per le sale dell’UNESCO come un tempo carovane di studiosi percorrevano a piedi da Fez a Cordova, come se portasse dentro di sé l’incenso dell’Andalusia, gli scritti di Ibn Rushd e i salmi dei sufi. Si adorna di saggezza, non d’oro, e di memoria, non di uno specchio.
Eppure, sotto questo orgoglio, incombe un presente grigio, che tormenta i nostri ricordi. La nostra cultura nella diaspora, quella comunità i cui frammenti sono sparsi in tutto il mondo, pullula di tesori: studiosi, artisti, filosofi, tutti desiderosi di una patria che li ascolti. Ma quante volte la nostra cultura è diventata aliena nel suo esilio? Quante volte le menti marocchine sono diventate mere ombre in città di cui non riconoscono più i tratti?
La storia non dorme nei libri; cammina per le strade che abitiamo e parla attraverso la lingua dei nostri figli in esilio. La sentiremo?
Il presente non è un prodotto del momento, ma piuttosto il figlio ribelle della storia. E la “storia” – come diceva Ibn Khaldun – è “un resoconto della società umana, che è la civiltà del mondo”. Quindi, quando il presente indebolisce la sua cultura, indebolisce la sua civiltà e svuota l’umanità della sua condizione umana.
Facciamo della cultura un ponte tra passato e futuro, non un muro per la fotografia.
Lasciamola come una sposa condotta verso il futuro, non come un cadavere da esporre nei musei. Quando la cultura marocchina sorride al mondo, la memoria sorride al domani e la storia diventa una voce viva che dice: Io sono il presente… Io sono il cibo e il sostentamento.
Zakia Laaroussi
