“Osiamo essere pienamente ambrosiani”: Riflessioni a margine della proposta pastorale 2025-2026


Occorrono energie e risorse per dare corpo a forme inedite di annuncio del Vangelo in questo nostro cambiamento d’epoca. Il tempo che viviamo ci interpella non solo sul piano pastorale, ma anche culturale, antropologico e spirituale. In questo scenario complesso, le parole dell’arcivescovo Delpini nella proposta pastorale Tra voi, però, non sia così” rappresentano un forte invito a rimettere in moto il discernimento, il coraggio e soprattutto l’immaginazione.

Ripensare le intuizioni e l’audacia dei vescovi ambrosiani che ci hanno preceduto diventa allora un dovere spirituale oltre che ecclesiale. Le nuove chiese volute dal cardinale Montini e dal cardinale Martini, i gesti concreti e profetici del cardinale Tettamanzi, l’apertura ai nuovi Aeropaghi del cardinale Scola: tutte esperienze nate non da strategie, ma da una profonda lettura dei segni dei tempi. Anche oggi, come allora, ci è chiesto di osare nuovi passi, non per affermare una presenza, ma per servire l’umano. Perché è lì che il Vangelo si incarna.

In questo orizzonte si colloca la scelta dell’Arcivescovo di accettare la sfida a immaginare una presenza religiosa nell’area che fu di Expo 2015 e oggi è diventata MIND (Milano Innovation District). Non si tratta solo di piantare un segno visibile della Chiesa, ma di abitare uno dei crocevia più significativi del futuro milanese e non solo: un luogo dove si incrociano scienza, medicina, tecnologia, impresa e formazione. Un luogo che ospita già oggi migliaia di lavoratori, studenti e ricercatori, e che diventerà nei prossimi anni uno dei centri vitali del pensiero e della vita della città.

Ma proprio in questo contesto, sento il bisogno — con rispetto e spirito fraterno — di proporre un passo ulteriore, un gesto che sia veramente all’altezza della nostra tradizione ambrosiana. Una tradizione segnata fin dall’inizio dall’incontro e dall’apertura: Ambrogio non era milanese, non era neppure cristiano quando fu scelto vescovo. Era un funzionario dell’Impero, venuto da lontano. E proprio per questo seppe interpretare la fede con uno sguardo largo, capace di dialogo e di profondità.

Essere ambrosiani oggi, in un’epoca di migrazioni, pluralismo e interdipendenza globale, significa — forse — riscoprire questa vocazione all’incontro. Perché non allora immaginare, proprio sul sito di Expo 2015, un luogo che sia segno di dialogo interreligioso autentico e visibile? Un luogo in cui le grandi religioni dell’umanità possano coesistere non in una sterile neutralità, ma in una testimonianza condivisa di umanità.

Mi riferisco, con ammirazione, all’esperienza dell’Abrahamic Family House, sull’isola di Saadiyat ad Abu Dhabi: un complesso interreligioso composto da una chiesa (His Holiness Francis Church), una sinagoga (Moses Ben Maimon Synagogue) e una moschea (Imam Al-Tayeb Mosque), progettato per incarnare il Documento sulla Fratellanza Umana firmato da papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb nel 2019. Un segno potente, capace di parlare anche al mondo laico.

Non sarebbe questa la giusta forma di “presenza religiosa” da immaginare per l’area di MIND? Un centro interreligioso in cui cristiani, ebrei e musulmani possano pregare, dialogare, pensare e agire insieme, nel rispetto delle differenze e nella comune ricerca dell’umano?

Un luogo in cui studenti, scienziati, malati e imprenditori, gente comune possano incontrare una spiritualità accogliente, una testimonianza silenziosa ma viva, una parola che sa ascoltare?

Immaginiamo per la chiesa cristiana — magari la prima costruita con il contributo e la cura di diverse confessioni cristiane: cattolici, ortodossi, protestanti ( che possa essere utilizzata dalle diverse realtà cristiane nel rispetto delle tradizioni). Un vero segno ecumenico, in uno spazio condiviso con le altre religioni abramitiche. Non per sincretismo, ma per amicizia. Non per confondere, ma per unire. Non per diluire le identità, ma per custodire insieme ciò che rende umano l’umano.

Questo tipo di presenza religiosa non sarebbe forse la risposta più adeguata alla sfida che il Santo Padre ha lanciato ai vescovi italiani nell’udienza del 17 giugno scorso? In quella occasione, il Pontefice ha chiesto alla Chiesa italiana di testimoniare un umanesimo capace di attraversare l’epoca digitale valorizzando elementi antropologici fondamentali come il corpo, la vulnerabilità, la sete di infinito, il bisogno di legami. Chi meglio delle religioni può raccontare questi desideri profondi dell’essere umano? E chi meglio delle religioni può offrire uno spazio di silenzio, di riflessione e di fraternità dentro la frenesia di una città futuristica?

In un mondo che rischia di perdere il contatto con la realtà corporea e con le relazioni umane fondamentali, una presenza religiosa così concepita non sarebbe solo utile, ma necessaria. Sarebbe un segno profetico, un gesto educativo, una proposta culturale. E insieme, un modo nuovo per annunciare il Vangelo senza proselitismo, ma con la forza del servizio, dell’amicizia e della bellezza.

So bene che una proposta del genere comporta sfide enormi, sia sul piano teologico che su quello pratico. Ma non possiamo lasciare che siano solo gli altri — governi, architetti, filantropi — a pensare il futuro delle religioni nella città. Anche noi, come comunità cristiana ambrosiana, possiamo avere il coraggio di immaginare, di osare, di costruire. Non per nostalgia di potere, ma per amore dell’uomo.

Anche noi possiamo immaginare la presenza di una Abrahamic Family House con una chiesa, una sinagoga ed una moschea.

Nel cuore di Milano, nel cuore dell’Europa, potremmo piantare un seme di pace, un seme di dialogo, un seme di speranza. In fondo, è questo che Abramo — padre nella fede di tanti — ha fatto: ha creduto e si è messo in cammino, senza sapere dove sarebbe arrivato. Anche noi, forse, siamo chiamati oggi a una fede così. Una fede capace di ascoltare lo Spirito e di immaginare cose nuove.


Marco Baratto

Di wp