“Ambasciatori di Pace” Il doppio volto della strategia del Polisario in Italia

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Ago 12, 2025

Anche quest’estate, in Toscana, Emilia-Romagna e Campania, sono tornati gli “Ambasciatori di Pace”: gruppi di bambini provenienti dai campi profughi di Tindouf, in Algeria, accolti da famiglie italiane e inseriti in programmi di soggiorno estivo. Un’iniziativa che, a prima vista, sembra animata da nobili intenti umanitari, ma che nasconde una dimensione più complessa, e soprattutto politica.

L’educazione non è infatti l’unico canale attraverso cui il Fronte Polisario porta avanti la propria strategia di propaganda. Questa si manifesta in molte forme, tra cui l’impiego dei minori come veicolo emotivo per suscitare simpatia e consenso. Si tratta di un meccanismo ben collaudato: sfruttare la naturale sensibilità delle opinioni pubbliche europee nei confronti dei bambini per celare, dietro un’apparenza di solidarietà, messaggi e obiettivi di natura squisitamente politica.

Il programma nasce nel 1980, su iniziativa del Fronte Polisario e con il sostegno iniziale del Partito Comunista Spagnolo (PCE). All’epoca, veniva presentato come un progetto solidale per migliorare le condizioni di vita dei bambini dei campi di Tindouf, offrendo loro soggiorni in famiglie europee, cure mediche e attività educative.

Con il passare degli anni, però, la natura dell’iniziativa è cambiata. Pur mantenendo la facciata umanitaria, il progetto si è progressivamente politicizzato, trasformandosi in un mezzo per promuovere la causa separatista del Polisario e raccogliere fondi. L’ospitalità estiva è diventata così un’occasione per stringere legami con amministrazioni locali, associazioni e movimenti politici sensibili alla causa sahrawi, ottenendo visibilità e sostegno in ambito istituzionale.

La politica italiana non è rimasta indifferente a questa forma di diplomazia “soft”. Al contrario, in alcune regioni si registrano ancora posizioni ambigue e incoerenti rispetto alla linea assunta dall’Unione Europea, che riconosce il Marocco come interlocutore principale nella questione del Sahara .

Toscana ed Emilia-Romagna, in particolare, continuano a ospitare rappresentanti della RASD (Repubblica Araba Sahrawi Democratica) in contesti ufficiali, con il sostegno di esponenti politici locali, spesso vicini al centrosinistra.

Un episodio emblematico risale al 2020, quando l’allora vicepresidente dell’Emilia-Romagna, Elly Schlein – oggi segretaria del Partito Democratico – accolse ufficialmente la rappresentante in Italia del Fronte Polisario. In quell’occasione, Schlein sottolineò il “supporto concreto” della Regione, che si tradusse in un finanziamento di 150.000 euro per progetti di cooperazione con i campi di Tindouf.

Va detto che le simpatie per la causa sahrawi non si limitano a un solo schieramento politico. Anche esponenti dell’attuale maggioranza, in passato, hanno mostrato apertura verso il Polisario. Un esempio è quello di Giorgia Meloni, che da giovane deputata, nel 2000, visitò i campi di Tindouf e si espresse favorevolmente sulla causa.

Nel 2007, Meloni fu inoltre tra i firmatari di una mozione parlamentare – presentata congiuntamente a forze di sinistra – per il riconoscimento dello status diplomatico della RASD in Italia. Un passato che oggi rappresenta un capitolo da archiviare, ma che testimonia come la questione del Sahara Occidentale abbia avuto, nel tempo, sostenitori in più aree politiche.

Dietro le ambiguità italiane c’è un dato di fatto: i rapporti economici con l’Algeria. L’approvvigionamento energetico, rafforzato negli ultimi anni soprattutto dopo la crisi del gas russo, ha spinto l’Italia a consolidare i legami con Algeri. Ma questo vincolo limita la nostra capacità di assumere una posizione mediterranea autonoma e coerente.

A differenza di Francia e Spagna – che negli ultimi anni hanno ricalibrato la loro politica estera avvicinandosi al Marocco – l’Italia resta legata a un partner che sostiene apertamente il Polisario e che, con i proventi energetici, contribuisce indirettamente a finanziare l’apparato militare russo. Un paradosso, se si considera che il nostro Paese è tra i più convinti sostenitori dell’Ucraina nella guerra contro Mosca.

Questa difficoltà a sviluppare una vera politica mediterranea autonoma affonda le sue radici in scelte strategiche discutibili. L’Italia, ad esempio, ha avallato – senza valutare appieno le conseguenze – il cambio di regime in Libia, un Paese dove fino a pochi anni fa avevamo un ruolo economico e politico di primo piano.

Il risultato è stato un disimpegno forzato dal teatro libico, con la perdita di influenza e la cessione di spazi a potenze concorrenti. Parallelamente, il rafforzamento del legame con l’Algeria ha comportato una dipendenza energetica che condiziona la nostra libertà d’azione.

Il ritorno degli “Ambasciatori di Pace” nelle nostre regioni è quindi un fenomeno che merita di essere osservato con attenzione. Non si tratta di mettere in discussione la buona fede delle famiglie ospitanti o l’importanza della solidarietà internazionale, ma di riconoscere che queste iniziative possono essere parte di un disegno politico più ampio, che sfrutta la leva emotiva per ottenere legittimazione e risorse.

In un contesto internazionale complesso, dove le alleanze e le priorità strategiche devono essere chiare, continuare a sostenere – direttamente o indirettamente – il Polisario rischia di esporre l’Italia a contraddizioni difficili da giustificare.

Per uscire da questa impasse, serve il coraggio di rivedere le nostre relazioni nel Mediterraneo. Ciò significa ridurre la dipendenza dall’Algeria, diversificare le fonti energetiche e riallineare la politica estera italiana agli interessi strategici di lungo periodo, in sintonia con i partner europei e atlantici.

La lezione che Francia e Spagna sembrano aver imparato è chiara: nel Mediterraneo, le alleanze si costruiscono sulla base della stabilità e della cooperazione economica, non su relazioni che rischiano di alimentare conflitti cronici. L’Italia, invece, sembra ancora legata a un approccio datato, dove vincoli storici e interessi contingenti prevalgono sulla visione strategica.

In definitiva, il tema non è solo quello degli “Ambasciatori di Pace” e del loro significato simbolico, ma della capacità del nostro Paese di leggere gli equilibri geopolitici senza lasciarsi trascinare da logiche di parte o da sentimentalismi che, pur comprensibili, non possono sostituire una vera politica mediterranea libera e indipendente.

Marco Baratto

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