ONU 80 e il discorso di João Lourenço: la realtà sociale in Angola, dall’ideale alla pratica

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Ott 2, 2025 #Angola, #politica

Nel celebrare gli 80 anni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, si moltiplicano i discorsi solenni, pieni di parole come pace, democrazia, diritti umani, giustizia, sviluppo sostenibile e cooperazione tra i popoli. Ma nel mezzo di questa retorica levigata, è impossibile ignorare il crescente abisso tra gli ideali proclamati nei palchi internazionali e la dura realtà vissuta dai popoli che queste istituzioni affermano di voler difendere.

Il Presidente dell’Angola, João Lourenço, si è distinto come oratore frequente nei forum internazionali dell’ONU, con interventi eloquenti sulla pace nel continente africano, sulle transizioni democratiche, sul contrasto alla corruzione e sul rispetto dei diritti umani. Sulla carta, le parole sono impeccabili. Il linguaggio è diplomatico, il discorso ben strutturato e il tono moralista tenta di proiettare l’Angola come un esempio emergente di stabilità.

Tuttavia, per chi conosce la realtà angolana sul campo, le parole del Capo di Stato si scontrano frontalmente con il quotidiano di milioni di cittadini. Mentre si parla di riforme, modernizzazione e progresso, il popolo continua a vivere immerso in un sistema che continua a favorire un’élite politico-economica a scapito della maggioranza della popolazione.

Le promesse di lotta alla corruzione hanno funzionato più come bandiera politica che come pratica istituzionale sistematica. La persecuzione selettiva di oppositori e di ex alleati caduti in disgrazia dimostra che la giustizia resta subordinata agli interessi del potere. La povertà urbana e rurale rimane strutturale, con milioni di angolani senza accesso dignitoso alla sanità, all’istruzione, all’abitazione o ai servizi igienici di base. I giovani senza opportunità, la disoccupazione galoppante e un’economia dipendente dalle fluttuazioni del petrolio rappresentano il ritratto di un Paese in cui lo sviluppo è più visibile nei rapporti ufficiali che per le strade.

La libertà di stampa resta fragile. La repressione delle manifestazioni pacifiche, l’arresto di attivisti e il controllo dei mezzi di comunicazione indicano che lo Stato angolano non si è ancora liberato completamente della logica autoritaria che ha segnato il suo passato recente. Alla vigilia delle elezioni, le accuse di manipolazione del processo elettorale e la mancanza di trasparenza continuano a gettare ombre sulla credibilità delle istituzioni democratiche.

E ci si chiede: come si giustifica che discorsi come quelli di João Lourenço, pieni di adulazione reciproca e frasi fatte, siano pronunciati tra gli applausi della comunità internazionale, quando i fatti smentiscono i fondamenti stessi del messaggio? Come può l’ONU, a 80 anni, continuare a servire da palcoscenico per narrazioni politiche che mascherano realtà sociali profondamente ingiuste?

L’ONU, come organizzazione multilaterale, è nata con l’obiettivo di garantire la pace, promuovere lo sviluppo e proteggere i diritti umani. Ma nella pratica, è diventata spesso complice di regimi che utilizzano i forum internazionali come vetrine di legittimazione. Al posto della responsabilizzazione, si distribuiscono onorificenze. Al posto della vigilanza critica, si preferisce il silenzio diplomatico.

L’Angola è solo uno dei tanti esempi. Ma il caso angolano illustra con chiarezza la contraddizione tra la retorica e l’azione. Tra l’ideale e la pratica. Tra ciò che si dice alle Nazioni Unite e ciò che si vive in Angola. Esempi: Zaire, Cabinda, Lunda Norte e Sul, Uíge, Sumbe, Malanje, Bié, Kuando-Kubango. L’attuale divisione amministrativa, lungi dal portare miglioramenti concreti, non ha avuto alcun impatto positivo reale. Se poche province non hanno fatto nulla in decenni, cosa giustifica la loro moltiplicazione?

In questo quadro di inefficienza e povertà istituzionale, il governo continua a piegarsi alle esigenze del FMI e della Banca Mondiale, sacrificando i servizi pubblici, aumentando la pressione fiscale sui più poveri e ipotecando il futuro con riforme imposte dall’esterno.

E la situazione non si limita all’Angola. Cosa dire del Venezuela, immerso in una crisi umanitaria prolungata? Di Israele e Gaza, dove le risoluzioni dell’ONU vengono ignorate da decenni? Della Nigeria, con conflitti interni e massacri dimenticati? Di Cabo Delgado, in Mozambico, dove si parla di pace nei palchi mentre il terrore regna sul campo? Del Nepal, delle conseguenze dell’incontro tra Trump e Putin in Alaska nel 2025 e dei suoi effetti geopolitici? E i casi dell’Iraq e della Libia? E l’Afghanistan, esempio lampante di fallimento internazionale? E cosa dire del silenzio dell’ONU davanti all’influenza degli Stati Uniti come mentori di guerriglie e della Francia come potenza che continua a dominare economicamente diversi Paesi africani?

E la RDC? Dov’è l’ONU di fronte alle azioni del gruppo M23, che terrorizza le popolazioni dell’Est con appoggi e complicità esterne, sotto il silenzio internazionale? E il caso del Ruanda, costantemente citato come esempio, ma coinvolto in conflitti che minano la sovranità dei suoi vicini?

Per questo, più che celebrare, è tempo di interrogarsi. Quale futuro ci attende, quando il sistema internazionale chiude gli occhi davanti ai fatti e applaude delle messinscene?

La storia non giudicherà i discorsi, ma i risultati. E in Angola, come in molti Paesi del Sud globale, il popolo sa distinguere molto bene tra parole belle e realtà amare.

João Lourenço dovrebbe mostrare l’Angola reale, quella dell’incompetenza del MPLA da 50 anni, della sua cattiva governance, della corruzione istituzionalizzata dei suoi compagni, delle morti causate dalla sua politica e dall’azione repressiva del SIC. Famiglie vivono in estrema povertà, bambini si nutrono nei cassonetti della spazzatura. Questa è l’Angola che il vecchio ONU 80 senza giudizio dovrebbe conoscere, perché non si tratta di ottanta giorni, si tratta di quasi un secolo di esistenza vuota.

Pedro Paulino Sampaio

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