Vaccinazione e Sovranità: Il Futuro Demografico dell’Angola Non Deve Essere Esternalizzato

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Ott 26, 2025 #Angola

Introduzione

Nell’anno in cui l’Angola celebra mezzo secolo di indipendenza, viene annunciata una campagna nazionale di vaccinazione contro il Virus del Papilloma Umano (HPV), rivolta a bambine tra i nove e i dodici anni. Presentata come misura preventiva contro il cancro del collo dell’utero, la campagna è avvolta in un linguaggio tecnocratico, sostenuta da consensi globali e patrocinata da istituzioni come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la GAVI e l’UNICEF. Tuttavia, dietro la narrativa sanitaria sorgono interrogativi che non possono essere silenziati. È legittimo chiedersi: chi determina il futuro biologico della donna angolana? E con quale legittimità si interviene sul grembo ancora inattivo di una nazione?

Ancor più, perché è stato scelto proprio questo momento per lanciare la campagna? Perché, nei 50 anni di indipendenza, si impone una decisione di tale portata, che tocca il corpo e il futuro della bambina e della nazione? Quali sono i dati statistici che giustificano tale urgenza? Quanti casi di cancro del collo dell’utero sono stati identificati in Angola, e qual è la loro distribuzione per età? Quante bambine, dentro e fuori la fascia tra i nove e i dodici anni, presentano questa condizione per giustificare una campagna così ampia? Sono state realizzate valutazioni nazionali dettagliate dal Ministero della Salute? Sono state consultate le comunità e gli attori locali? Quanto tempo è stato dedicato alla ricerca prima di giungere a questa decisione? Qual è l’origine dei vaccini? E da dove provengono i tecnici che accompagneranno l’intero processo? Sono angolani o stranieri?

È importante sottolineare che non esistono statistiche pubbliche disponibili per provincia, né si conosce, ad oggi, una mappatura nazionale che indichi quali siano le regioni del paese con maggiore incidenza della malattia. Senza dati territoriali affidabili, come si può giustificare una campagna di copertura nazionale su larga scala?

L’infanzia femminile come frontiera della sovranità

Non si tratta semplicemente di vaccinare. Si tratta di intervenire su un corpo che rappresenta il divenire di un popolo. La fascia di età scelta, tra i nove e i dodici anni, non è neutra, né casuale. È la finestra temporale in cui il corpo femminile inizia a prepararsi alla maturità riproduttiva. Qualsiasi azione su questo corpo è, di conseguenza, un’azione sul futuro demografico, culturale e simbolico della nazione. Lo Stato che consente, senza vigilanza critica, che agenti esterni prendano decisioni su questa fase della vita nazionale, rinuncia, in pratica, a parte della sua sovranità essenziale.

Il potere silenzioso delle entità transnazionali

OMS, UNICEF, GAVI e altre strutture simili agiscono sotto il manto della scienza, della solidarietà e della salute pubblica. Ma non è raro che i loro programmi rivelino, nella pratica, una logica d’intervento verticale, in cui le popolazioni locali sono viste come oggetti su cui applicare obiettivi globali, e non come soggetti decisionali. Il continente africano conosce bene gli effetti storici di campagne imposte: sterilizzazioni involontarie, test clinici non autorizzati, distribuzione di sostanze farmaceutiche senza consenso informato. La memoria non è stata cancellata. E la fiducia, dove esiste, è spesso fragile e tesa.

L’Europa esita, ma l’Africa si affretta

La vaccinazione contro l’HPV esiste da più di un decennio in Europa. Paesi centrali come Francia, Germania, Italia o Regno Unito l’hanno implementata con prudenza, esitazione e, a volte, forte opposizione interna. Nella maggior parte dei casi, la somministrazione del vaccino non avviene nelle scuole, ma nei centri sanitari, tramite consultazione, con la presenza dei genitori o con consenso esplicito. In Francia, ad esempio, l’introduzione della vaccinazione scolastica nel 2023 ha generato ampio dibattito e resistenza civile. Curiosamente, in Angola, un paese con limitazioni logistiche, minore alfabetizzazione sanitaria e debolezza istituzionale, si propone una campagna di massa, di rapida esecuzione, con obiettivi di copertura superiori al novanta per cento. Perché tanta urgenza? Perché si spinge un paese giovane a correre, mentre i paesi antichi procedono con cautela?

Vaccinazione, sì, ma con coscienza nazionale

Nessuno in buona fede nega la necessità di prevenire le malattie. Il cancro del collo dell’utero è una minaccia reale, e le perdite umane che provoca sono inaccettabili. Ma combattere la malattia non può giustificare la rinuncia alla responsabilità politica. La salute pubblica deve essere pensata con rigore scientifico, certo, ma anche con lucidità storica, con rispetto culturale e con intelligenza strategica. Ciò che è in discussione non è la scienza, ma il modo in cui essa viene usata. Il dibattito non riguarda il vaccino in sé, ma il contesto in cui esso è proposto, e i silenzi che lo circondano.

Conclusione

La decisione di vaccinare bambine in una fascia di età così sensibile dovrebbe essere il culmine di un ampio dibattito nazionale, e non il risultato di orientamenti tecnici prodotti al di fuori del territorio. Non basta presentare dati e protocolli. È necessario ascoltare il popolo, i genitori, gli educatori, i leader tradizionali, i medici locali. È necessario fidarsi che il sapere nazionale sia capace di proteggere sé stesso. L’Angola non può essere solo teatro di applicazione di agende globali. Ha il diritto, e il dovere, di difendere il proprio corpo collettivo. Di preservare il proprio futuro riproduttivo. Di dire, con voce ferma: il nostro futuro non sarà deciso fuori da noi.

Pedro Paulino Sampaio

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