Romania: Il Balcone d’Europa che Tutti Ignorano – Tradita da Bruxelles, Spinta verso il Baratro Populista”

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Lug 10, 2025 #politica

Il 1° gennaio 2025 segna un momento storico per la Bulgaria: l’ingresso nell’eurozona. Un evento che, pur celebrato a Sofia, getta ombre pesanti su Bucarest. Mentre la Bulgaria raccoglie i frutti del suo allineamento alle richieste di Bruxelles, la Romania, sua vicina e sorella balcanica, si trova ancora una volta a fronteggiare un’umiliazione silenziosa ma devastante: l’esclusione dall’area euro. E non solo. La Commissione europea ha recentemente posto sotto pressione la Romania con una raccomandazione che chiede l’adozione di misure drastiche per contenere la spesa pubblica, fissando il termine del 15 ottobre 2025 come ultima chiamata.

Il documento dell’esecutivo europeo impone un rigoroso percorso di rientro per la spesa pubblica, stabilendo tetti precisi: 4,6% del PIL nel 2027, 4,4% nel 2028, 4,2% nel 2029 e infine 4% nel 2030. Una stretta che rischia di stritolare una nazione già impegnata in sfide economiche, militari e sociali, e che potrebbe avere ripercussioni ben oltre i numeri del bilancio statale.

Una minaccia alla sicurezza nazionale: l’evasione fiscale

Nel tentativo di far quadrare i conti, Bucarest guarda alla lotta contro l’evasione fiscale come a una delle poche strade rimaste percorribili. Il presidente Nicușor Dan ha dichiarato apertamente che la Romania considera l’evasione fiscale non solo un problema economico, ma una vera e propria minaccia alla sicurezza nazionale. In tal senso, si sta valutando una modifica alla Strategia di Difesa Nazionale per permettere ai servizi di intelligence di intervenire direttamente nella repressione dell’evasione.

“La lotta all’evasione su larga scala è una priorità. Sono ottimista sul fatto che ci riusciremo, ma gli effetti si vedranno nel 2026”, ha dichiarato il presidente Dan durante una conferenza stampa a Vilnius, in occasione del vertice del formato B9, tenutosi lo scorso giugno.

Una spesa per la difesa che pesa

Parallelamente, la Romania ha preso un impegno importante anche in ambito NATO: aumentare la spesa per la difesa fino al 5% del PIL entro il 2035. Un investimento colossale che prevede il 3,5% destinato alla spesa militare diretta (equipaggiamenti, addestramento, logistica) e l’1,5% dedicato a infrastrutture, difesa informatica e resilienza civile.

Un impegno che posiziona Bucarest come una delle colonne portanti della sicurezza dell’Europa orientale. Eppure, l’Unione europea non sembra riconoscere appieno questo sforzo titanico. Al contrario, le richieste di austerità sembrano andare nella direzione opposta: ridurre la spesa e ritardare ancora l’ingresso nell’eurozona.

Un ventennio di sacrifici… per cosa?

Nel 2027 saranno vent’anni dall’ingresso della Romania nell’Unione europea. Un percorso lungo, fatto di riforme, sacrifici e grandi aspettative. Ma cosa ha ottenuto in cambio il popolo romeno?

Nel 2007, appena entrata nell’UE, la Romania fu accolta da un’ondata di razzismo e pregiudizio, specialmente in Italia, dove i titoli dei giornali e il famigerato “pacchetto sicurezza” del governo dell’epoca dipinsero i cittadini romeni come una minaccia. Da allora, l’ostilità sottile e il sospetto non si sono mai completamente dissipati.

Nonostante tutto, Bucarest ha continuato a rispettare le regole, a modernizzare il proprio apparato statale e a fare da scudo contro le minacce dell’Est, contribuendo in modo essenziale alla stabilità della regione. Eppure, l’adesione all’area Schengen è arrivata con anni di ritardo. E oggi, la Romania viene ancora tenuta fuori dalla zona euro, mentre nazioni con problemi analoghi – se non peggiori – vengono accolte.

Il rischio del populismo

La frustrazione cresce. Il popolo romeno si sente lasciato solo, abbandonato da un’Unione che pretende molto ma concede poco. In questo clima di sfiducia, i partiti populisti stanno trovando terreno fertile. Il messaggio è semplice: “L’Europa non ci vuole. Allora, perché continuare a sacrificare il nostro benessere per farle piacere?”

È un rischio concreto e pericoloso. La Romania è ancora una democrazia giovane, resiliente, ma vulnerabile. Le istituzioni europee dovrebbero saperlo. La linea dura, l’umiliazione costante e la mancanza di riconoscimento del ruolo strategico di Bucarest rischiano di spingere il Paese verso derive euroscettiche che nessuno – né a Bruxelles né a Berlino – dovrebbe sottovalutare.

Nicușor Dan: il presidente che resiste

In mezzo a questo scenario complicato, il presidente Nicușor Dan rappresenta una figura di equilibrio e determinazione. Sta cercando di tenere insieme un paese che si sente tradito, mantenere credibilità internazionale e preparare una riforma interna che porti risultati solo a lungo termine.

Ma non può farcela da solo. Ha bisogno di un segnale forte da parte dell’Europa. Un segnale di fiducia, di rispetto, di riconoscimento. Continuare a trattare la Romania come un membro di seconda categoria, significa aprire le porte a una crisi politica e sociale che rischia di destabilizzare tutta l’area balcanica.

L’Europa deve decidere: partner o pedina?

La Romania ha dimostrato fedeltà, resilienza e impegno. Ha accettato ogni richiesta dell’UE, ha contribuito alla sicurezza collettiva, ha accolto rifugiati e ha difeso i confini. Se l’Europa intende davvero costruire un’unione forte, allora non può permettersi di continuare a ignorare un alleato così strategico.

Non si può chiedere sacrificio infinito a una nazione che non viene mai pienamente accolta. La fiducia si costruisce con il rispetto. E oggi, quel rispetto sembra mancare.

La Romania non chiede privilegi. Chiede equità. Chiede di essere trattata per ciò che è: un pilastro della sicurezza europea. Se Bruxelles continuerà su questa linea cieca e punitiva, rischia di perdere molto più di quanto possa guadagnare con una manovra di bilancio. Rischia di perdere il cuore di un popolo che ha sempre creduto nell’Europa. E quando quel cuore smetterà di battere per Bruxelles, sarà troppo tardi.

Marco Baratto

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