Washington punta sul Sahara marocchino: un’occasione mancata per l’Europa e l’Italia?

Diwp

Set 26, 2025 #Economia, #Marocco, #politica

La diplomazia americana ha ancora una volta sorpreso per il suo pragmatismo dichiarato. A New York, il sottosegretario di Stato Christopher Landau ha confermato quella che ormai è una realtà irreversibile nella politica estera degli Stati Uniti: Washington riconosce pienamente e senza ambiguità la sovranità del Marocco sulle sue province meridionali, più conosciute come Sahara marocchino. Ma la novità non è solo diplomatica. È anche economica, strategica e altamente simbolica. Subito dopo questo riconoscimento, il governo americano ha deciso di incoraggiare attivamente gli investimenti delle imprese statunitensi in questa regione del Regno, fino a ieri spesso descritta come periferica e contesa, ma che gli Stati Uniti sembrano oggi considerare uno spazio di futuro e di stabilità.

Questo annuncio si inserisce nella logica delle iniziative globali lanciate dall’amministrazione Trump, poi proseguite, che mirano a legare la diplomazia all’economia. Landau, parlando al termine di un incontro con Nasser Bourita, ministro marocchino degli Affari Esteri, ha sottolineato l’eccellenza delle relazioni bilaterali tra Rabat e Washington, rapporti segnati da una profondità storica rara tra un paese africano e la prima potenza mondiale. Gli Stati Uniti non si limitano a gesti simbolici: intendono agire concretamente per attrarre capitali, know-how e imprese verso uno spazio che, nella loro lettura, rappresenta la porta d’accesso all’Africa atlantica, ma anche un pilastro di stabilità in una regione spesso scossa da crisi ricorrenti.

La scommessa americana è chiara. Mentre altre potenze esitano, tergiversano o continuano ad adottare una posizione attendista, Washington prende l’iniziativa. Sostenendo gli investimenti nel Sahara marocchino, l’amministrazione americana invia diversi messaggi contemporaneamente: un messaggio politico agli avversari dell’integrità territoriale del Marocco, che vedono ridursi i loro margini di manovra; un messaggio economico alle imprese statunitensi, invitate a cogliere opportunità ancora vergini in settori come le energie rinnovabili, la pesca, la logistica, il turismo o lo sfruttamento minerario; e infine un messaggio strategico al resto del mondo, in particolare all’Europa, mostrando che non è più tempo di esitazioni ma di impegno chiaro e di partenariati strutturanti.

Ed è qui che il paragone con l’Italia diventa quasi doloroso. Da anni Roma proclama la sua volontà di indipendenza energetica ed economica, ripete il desiderio di diversificazione ed esprime preoccupazione per una dipendenza eccessiva da alcuni paesi del Nord Africa, produttori di idrocarburi ma poco inclini a promuovere la giustizia sociale o a reinvestire le proprie ricchezze per il bene collettivo. Eppure, nonostante i segnali provenienti da Washington e la dinamica avviata da Rabat, l’Italia sembra ancora paralizzata dalle proprie esitazioni. Il presidente Trump era stato chiarissimo: bisogna incentivare l’acquisto di idrocarburi americani e stimolare una cooperazione energetica che riduca dipendenze fragili.

Ciò che colpisce è la cecità strategica di alcuni decisori europei. Il Marocco, paese stabile, orientato alla modernità e alle riforme, è oggi un hub regionale che attira capitali, mette in sicurezza corridoi commerciali e costruisce una diplomazia fondata sulla cooperazione Sud-Sud e sulla proiezione verso l’Africa subsahariana. Ignorare questa realtà significa, per l’Europa — e in particolare per l’Italia — correre il rischio di marginalizzarsi a favore di altri attori, che siano americani, cinesi o mediorientali. I cantieri infrastrutturali avviati nelle province meridionali del Marocco non sono semplici progetti locali: si inseriscono in una strategia di integrazione continentale, con il grande porto di Dakhla Atlantique, le zone franche industriali, le strade e i corridoi logistici che collegheranno il Marocco al Sahel e, oltre, a tutta l’Africa occidentale.

È difficile comprendere perché alcuni in Europa continuino a guardare a questa dinamica con diffidenza o indifferenza. La logica dovrebbe invece spingere ad accompagnare questo movimento. In primo luogo perché è conforme agli interessi europei: stabilità regionale, lotta al terrorismo, controllo dei flussi migratori, sviluppo di un mercato africano promettente. In secondo luogo perché rappresenta un’opportunità economica rilevante: investire in zone in crescita, beneficiare degli accordi di libero scambio che il Marocco ha già firmato con Stati Uniti, Unione Europea e diversi paesi africani, e sfruttare la posizione geografica unica del Regno. Infine perché si tratta di una scelta di valori: sostenere un paese che, a differenza di altri, reinveste le proprie risorse nello sviluppo, punta sulle energie pulite e cerca di consolidare il suo ruolo di ponte tra Europa e Africa.

La politica estera non è mai neutrale. Scegliendo di sostenere chiaramente il Marocco, gli Stati Uniti tracciano una linea e assumono la loro visione: quella di un’Africa in cui l’investimento e la cooperazione sostituiscono instabilità e attendismo. Restando invece a distanza, l’Italia e altri paesi europei danno l’impressione di mancare di coraggio politico e strategico. Eppure il tempo gioca contro di loro. Più gli Stati Uniti consolideranno la loro presenza economica nel Sahara marocchino, più sarà difficile per gli europei recuperare il ritardo e posizionarsi su un terreno già occupato.

La vera domanda è dunque questa: per quanto tempo ancora l’Europa si limiterà a osservare, mentre altri agiscono? Il Marocco non aspetta. Va avanti, sostenuto da un alleato di peso e convinto che il suo Sahara sia la chiave del proprio futuro continentale. Gli Stati Uniti, dal canto loro, non si accontentano di discorsi. Investono, incoraggiano e costruiscono. L’Italia e l’Europa, se vogliono rimanere attori di primo piano in questa parte del mondo, dovranno prima o poi compiere il passo. Oggi la porta dell’Africa si chiama Marocco. Coloro che avranno l’intelligenza di entrarvi per tempo raccoglieranno domani i frutti della loro lungimiranza. Chi avrà atteso rischia invece di trovare solo un posto secondario in un gioco già ridisegnato.

Marco Baratto

Di wp