Ci sono figure della storia italiana del Novecento che, pur avendo servito lo Stato con lealtà e rigore, sono state travolte dal fango della semplificazione politica e mediatica. Tra queste, il generale Giovanni De Lorenzo (1907-1973) occupa un posto emblematico. Per decenni il suo nome è stato associato quasi esclusivamente al cosiddetto “Piano Solo”, un presunto tentativo di colpo di Stato nel 1964 che avrebbe visto coinvolti il Presidente della Repubblica Antonio Segni e lo stesso comandante generale dei Carabinieri.
Eppure, la storia documentata – quella emersa nelle aule dei tribunali e nella relazione finale della Commissione Parlamentare d’Inchiesta – ha da tempo smentito l’esistenza di un reale progetto eversivo. Nulla di concreto, nessun ordine operativo, nessuna prova di un disegno volto a rovesciare le istituzioni democratiche. Solo ipotesi, paure e speculazioni nate in un momento delicatissimo della vita politica del Paese.
Tuttavia, nella memoria pubblica italiana, il nome di De Lorenzo rimase legato a quell’ombra. Il prezzo di una diffidenza collettiva che non gli permise di vedere riconosciuto, in vita, il valore di una carriera spesa interamente al servizio dello Stato e della legalità.
Oggi, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, è tempo di guardare oltre quella narrazione riduttiva e restituire al generale De Lorenzo la dignità storica che gli spetta: quella di un militare, un patriota, un servitore delle istituzioni repubblicane.
Le radici e la vocazione militare
Giovanni De Lorenzo nacque nel 1907 in una famiglia di solide tradizioni militari. Il padre, reduce del primo conflitto mondiale, aveva sperimentato sulla propria pelle la delusione di una generazione segnata dalle promesse mancate del dopoguerra, e avrebbe voluto per il figlio un futuro diverso. Ma Giovanni, appena raggiunta la maggiore età, seguì la propria vocazione: si iscrisse alla Scuola di Applicazione di Torino e intraprese la carriera nell’Esercito.
Durante la Seconda guerra mondiale si distinse come ufficiale di valore. Sul fronte occidentale, poi come Capo dell’Ufficio Operazioni del 15° Corpo d’Armata, svolse compiti di difesa costiera in Liguria. Dopo l’esperienza drammatica in Russia con l’Armir, rientrò in patria e, nell’aprile del 1943, fu nominato Capo dell’Ufficio Artiglieria dello Stato Maggiore del Regio Esercito. Un ruolo di grande responsabilità in un momento in cui la nazione stava per precipitare nel caos dell’armistizio.
L’uomo della Resistenza
Fu allora che De Lorenzo rivelò la sua tempra di patriota. Dopo l’8 settembre 1943, non esitò a schierarsi dalla parte della libertà, aderendo al movimento partigiano. Dal 20 settembre entrò a far parte del Comitato Regionale di Liberazione della Romagna, e, dal marzo 1944, si trasferì a Roma, dove operò con compiti di intelligence per il Comitato di Liberazione Nazionale.
Era un’attività pericolosissima, svolta tra infiltrazioni, spostamenti clandestini e missioni di collegamento. Più di una volta al mese, raccontano i familiari, il giovane ufficiale attraversava il fronte in bicicletta per trasmettere ordini e informazioni tra le brigate partigiane ravennati e il comando di Roma.
La moglie, Ada Foscolo, lo ricordava come un uomo di straordinario coraggio e riservatezza. “Non parlava mai dei rischi corsi – raccontava – ma sapevamo tutti che ogni viaggio poteva essere l’ultimo”. In quei mesi conobbe e collaborò con figure centrali della Resistenza, tra cui Arrigo Boldrini, il leggendario comandante “Bülow”.
Per la sua attività partigiana, De Lorenzo fu insignito della Medaglia d’Argento al Valore Militare e di tre Croci al Merito di Guerra.
Non un onore simbolico, ma il riconoscimento tangibile di un impegno autentico nella lotta per la libertà e nella rinascita di uno Stato democratico.
Il ricostruttore dell’Arma e dei Servizi
Finita la guerra, l’Italia aveva bisogno di uomini di competenza e di disciplina per ricostruire le istituzioni. De Lorenzo fu tra coloro che contribuirono alla riforma e al rafforzamento dell’Arma dei Carabinieri, riportandola alla piena efficienza e restituendole il ruolo di corpo d’élite a tutela dello Stato di diritto.
Negli anni Cinquanta e Sessanta fu anche un innovatore nei campi della sicurezza e dell’intelligence: promosse una visione moderna dei servizi informativi, orientata alla prevenzione delle minacce interne ed esterne in un periodo di forti tensioni internazionali. La sua azione era sempre guidata da un principio fermo: la tutela dell’ordine democratico e della legalità repubblicana.
Fu questa stessa dedizione che, paradossalmente, lo portò al centro di una tempesta politica. Nel 1964, in un’Italia divisa tra spinte riformatrici e timori di involuzione autoritaria, il suo nome venne trascinato nel vortice del cosiddetto Piano Solo. Le ricostruzioni giornalistiche dipinsero l’operazione come un progetto eversivo volto a garantire il controllo militare dello Stato. Ma le inchieste giudiziarie successive e la Commissione d’Inchiesta del Parlamento, istituita nel 1967, esclusero categoricamente ogni ipotesi di golpe.
Il Piano Solo, come dimostrarono i documenti, non era altro che un piano operativo interno dell’Arma, predisposto in caso di emergenze di ordine pubblico, come previsto dai regolamenti militari. Nessun ordine esecutivo fu mai impartito, nessun reparto mobilitato, nessuna azione pianificata al di fuori delle norme costituzionali.
Nonostante ciò, il clamore mediatico e le strumentalizzazioni politiche segnarono per sempre la sua carriera.
Un’ingiustizia durata decenni
«Mio nonno – racconta oggi la nipote Francesca De Lorenzo, avvocato – morì troppo giovane, senza poter portare avanti le azioni giudiziarie per difendere il suo onore. La sua destituzione e l’accusa di golpe furono ferite mai rimarginate. Ma la verità è scritta negli atti ufficiali: nessuna colpa, nessuna infedeltà allo Stato».
Il generale morì a Roma il 26 aprile 1973, tre mesi dopo la nascita della nipotina che porta il suo nome con orgoglio. Negli ultimi anni della sua vita, pur provato da quella vicenda, mantenne sempre un atteggiamento di compostezza e di fiducia nelle istituzioni, convinto che la storia, prima o poi, avrebbe restituito la verità.
Nel 2023, il figlio Alessandro De Lorenzo ha pubblicato il volume “Giovanni De Lorenzo – Nell’archivio del Generale”, frutto di decenni di ricerche e studi sui documenti originali. Un’opera che contribuisce in modo decisivo alla riabilitazione storica e morale di suo padre, restituendone il profilo autentico di soldato, partigiano e servitore dello Stato.
Un patriota da ricordare
Rievocare oggi la figura di Giovanni De Lorenzo significa restituire alla storia italiana un protagonista del Novecento troppo a lungo frainteso.
Non un complottista, ma un uomo delle istituzioni; non un golpista, ma un patriota che aveva rischiato la vita per la libertà e che servì con disciplina e rigore la Repubblica.
La vicenda di De Lorenzo è, in fondo, la storia di un’Italia che spesso dimentica i suoi servitori migliori, sacrificandoli alle semplificazioni della cronaca. Ma la memoria, quando si nutre di verità, ha il potere di riparare le ingiustizie.
Oggi, alla luce dei fatti e dei documenti, possiamo affermarlo senza esitazioni: il generale Giovanni De Lorenzo merita una piena e definitiva riabilitazione.
Fu un soldato dell’Italia libera, un difensore delle istituzioni democratiche, un esempio di dedizione allo Stato. E come tale deve essere ricordato, nella consapevolezza che la storia, alla fine, rende giustizia a chi l’ha servita con onore.
Marco Baratto
