Quando nascerà il Centro Culturale Marocchino di Parigi? 

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Nov 27, 2025 #Marocco

Autore: Zakia Laaroussi Mercoledì 26 novembre 2025, 18:43 9419 

Zakia Laaroussi

Per anni, il discorso di istituire un centro culturale marocchino a Parigi è rimasto sospeso come un’ombra, più soggetto alle leggi del destino che alla volontà umana. Il progetto si profila all’orizzonte, apparentemente sul punto di diventare realtà, poi fa un passo indietro, come se il tempo stesso stesse giocando a tiro alla fune con l’idea. Tra ogni annuncio e rinvio, si accumula una sensazione inquietante: ci troviamo di fronte a un sogno che ha imparato l’arte di rimanere sospeso, senza morire né nascere, prosciugando solo la pazienza di chi lo attende.
Parigi, con la sua silenziosa arroganza culturale, concede spazio solo a chi insiste per prenderselo, non a chi aspetta che gli venga concesso. Pertanto, l’attesa dell’apertura di un centro culturale marocchino sembra essere una sorta di equivoco tra volontà e realtà. Perché ciò che motiva le nazioni non è la portata dei loro desideri, ma piuttosto la portata della loro determinazione ad agire. 

Nietzsche potrebbe dire che la speranza è il peggiore dei mali perché prolunga la sofferenza umana. Forse questo vale per questo progetto tanto atteso, che è diventato il banco di prova pratico di questa massima filosofica. Qui, la speranza non è più un fattore motivante, ma si è trasformata in una sorta di anestetico politico; allevia il dolore ma non affronta la causa profonda. Ogni anno si racconta la stessa storia: presto, molto presto, solo accordi, solo firme, solo pratiche in sospeso. È come se l’idea avesse bisogno di un esercito di scuse per rimanere in uno stato di indecisione.

Ma il problema è davvero a Parigi? O sta nel modo in cui concepiamo il ruolo della cultura nella politica estera? I centri culturali non sono semplicemente edifici posizionati sulle mappe delle principali capitali. Sono strumenti di soft power, basi intellettuali che operano a lungo termine, spazi in cui gli stati piantano le proprie narrazioni nel terreno altrui. La Francia lo capisce. La Spagna lo capisce. La Cina lo capisce forse fin troppo bene. Il Marocco, con la sua ricca cultura, la sua vasta storia e la sua posizione strategica multiforme, sta applicando con successo questo approccio in Africa. Allora perché esitiamo quando si tratta di Parigi, la città con la più grande presenza maghrebina al di fuori della regione?

L’assenza di un centro culturale marocchino a Parigi non è semplicemente una mancanza di infrastrutture culturali, ma una carenza nella sua presenza strategica. Questa presenza dovrebbe estendersi oltre la comunità marocchina all’estero per comprendere l’intera scena culturale francese: ricercatori, editori, registi, accademici e responsabili politici. Senza una piattaforma che operi quotidianamente nel cuore del panorama culturale europeo, continueremo a considerare la nostra immagine all’estero come qualcosa di costruito da altri, limitandoci a correggerla anziché plasmarla noi stessi.

La domanda, quindi, non è: perché il centro è in ritardo? Piuttosto: perché accettiamo costantemente questo ritardo? Il progetto è in attesa di un momento politico specifico? Di una volontà sufficiente? Di un budget? O il problema è più profondo: che a volte abbiamo paura di sederci al tavolo dei grandi attori, pur avendo tutti i requisiti per farlo?

Il tempo passa e i grandi progetti non possono tollerare capricci o ritardi. Il Marocco oggi, mentre ridefinisce con sicurezza il suo ruolo regionale e internazionale, deve smettere di trattare Parigi come un rifugio culturale naturale per i marocchini e iniziare a considerarla un’arena di influenza in cui la presenza è necessaria, ma a condizioni interamente marocchine. Un paese che costruisce porti, strade e importanti università non può permettersi di inciampare sulla soglia di un centro culturale.

Nietzsche potrebbe aver avuto ragione quando ha affermato che la speranza prolunga la sofferenza, ma ciò che non ha detto è che la sofferenza diventa uno stile di vita quando ci si abitua ad essa. Pertanto, è necessario un momento decisivo: o la speranza si trasforma in decisione, oppure dichiariamo che il progetto non è una priorità. Rimanere nella zona grigia è peggio del rifiuto stesso. Parigi non agirà per noi. Il tempo non aprirà la porta da solo. E ciò che attendiamo non arriverà se non decidiamo di perseguirlo.
Solo allora la speranza si trasformerà da un male che rinvia l’azione in una forza motrice. Questa, forse, è la lezione filosofica e politica di cui abbiamo bisogno oggi, più di qualsiasi pietra, facciata o segno

Zakia Laaroussi

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