La Giornata dei Diritti Umani, celebrata il 10 dicembre sin dall’adozione della Dichiarazione Universale, è divenuta una data che rivela più contraddizioni che progressi. Ciò che nel 1948 si presentò come un patto morale volto a proteggere la dignità umana si è trasformato, nel 2025, in un doloroso promemoria della distanza fra ciò che si proclama e ciò che realmente si pratica nel mondo.
L’ordine internazionale vive in una incoerenza permanente. Gli stessi Stati che dichiarano di difendere diritti universali sono spesso quelli che alimentano guerre, vendono armi a regimi abusivi, bloccano misure umanitarie quando queste contraddicono i loro interessi e utilizzano la retorica dei diritti umani come semplice strumento politico. Il sistema non è fallito per caso. È stato costruito per non interferire con gli interessi economici e strategici delle potenze. I diritti vengono invocati quando fa comodo e taciuti quando disturbano.
La violenza estrema è divenuta banale. Civili massacrati, popolazioni sfollate, città distrutte e vite ridotte a statistiche appaiono quotidianamente davanti agli occhi del mondo. L’esposizione costante a tale realtà ha creato una società insensibile. La sofferenza umana, trasmessa in tempo reale, non suscita più l’indignazione necessaria. La vita di milioni di persone è diventata invisibile o facilmente sacrificabile agli occhi di chi detiene il potere politico.
Le democrazie contemporanee, pur mantenendo un’apparenza istituzionale, si trovano indebolite. La concentrazione del potere, il controllo dell’informazione, la persecuzione sottile delle voci dissidenti e la crescente sorveglianza digitale corrodono libertà fondamentali. Non è più necessario ricorrere a colpi di Stato espliciti. Basta logorare le leggi, manipolare i discorsi e normalizzare gli abusi fino a quando il cittadino non riconosce più i diritti che ha perduto.
La disuguaglianza ha raggiunto un livello moralmente insostenibile. Una minoranza accumula ricchezze in proporzioni oscene mentre milioni lottano per sopravvivere. In un mondo che possiede capacità produttiva sufficiente per garantire condizioni di vita basilari a tutta l’umanità, la persistenza della fame, della miseria e della mancanza di accesso a cure essenziali non può essere considerata inevitabile. Si tratta di una violazione deliberata dei principi proclamati nel 1948. Una violazione quotidiana e silenziosa.
La tecnologia, che prometteva emancipazione, è divenuta strumento di controllo. Stati e corporazioni raccolgono e utilizzano dati personali con una profondità mai vista prima, influenzando comportamenti, scelte e perfino convinzioni politiche. La privacy sta scomparendo mentre gran parte della società rimane distratta o rassegnata. L’autonomia individuale è minata da meccanismi che operano senza che il cittadino ne sia consapevole.
La crisi climatica rappresenta la forma più ampia e strutturale di ingiustizia del nostro tempo. Territori diventano inabitabili, popoli indigeni vengono espulsi, intere comunità perdono i propri mezzi di sussistenza e milioni sono costretti a migrare. Ciononostante, i governi insistono nella dipendenza dai combustibili fossili pur conoscendo l’impatto devastante che ciò comporta sul diritto alla vita.
La conclusione si impone senza possibilità di attenuazione. La promessa del 1948 non è stata mantenuta. È stata abbandonata, distorta e utilizzata come ornamento morale da chi si rifiuta di applicarla. La Giornata dei Diritti Umani è diventata un rituale vuoto che copre decenni di omissione, indifferenza e calcolo politico. Si celebrano diritti che, per gran parte dell’umanità, non sono mai esistiti di fatto.
Se questa data ha ancora un senso, esso consiste nel costringere il mondo a confrontarsi con la distanza immensa fra i principi proclamati e la realtà vissuta. Senza coraggio politico, senza una rottura con i sistemi che perpetuano disuguaglianze e violenze e senza rigettare l’indifferenza globale, i diritti umani continueranno a essere soltanto una promessa scritta in un documento che il mondo preferisce ignorare.
Don Pedro Sampaio
