La chiesa cattolica ha appena eletto Leone XIV , che ha dichiarato di volersi ispirare a Papa Leone XIII , per questo ed in onore del nuovo Papa, ho voluto dedicare questo pezzo di storia.
Nel 1888, il mondo cattolico celebrava un evento di grande solennità: il Giubileo Sacerdotale di Papa Leone XIII, ovvero il cinquantesimo anniversario della sua ordinazione presbiterale. Il pontefice, al soglio di Pietro dal 1878, era divenuto una figura di riferimento non solo spirituale ma anche politica a livello globale. Le celebrazioni di questo giubileo non furono limitate all’ambito strettamente ecclesiale o europeo: coinvolsero, in modo straordinario, anche paesi di religioni diverse. Tra questi, spiccò la presenza ufficiale del Marocco, l’unica nazione africana e musulmana a partecipare attivamente, inviando una propria delegazione diplomatica a Roma.
Il gesto compiuto dal Sultano marocchino Muley Hassan I fu di notevole rilevanza simbolica e politica. Non era solo un atto di cortesia diplomatica, ma un segno tangibile del rispetto e della volontà di dialogo tra due mondi spesso considerati contrapposti: quello islamico e quello cristiano. L’ambasceria marocchina, composta da figure eminenti della corte scerifiana, si recò a Roma con una missione ben precisa: porgere personalmente al pontefice gli auguri e i doni del loro sovrano, testimoniando l’amicizia tra il Regno del Marocco e la Chiesa cattolica.
A guidare l’ambasceria fu Sua Eccellenza Mohamed Ben el Arbi El-Torres, primo ambasciatore, uomo di grande levatura diplomatica e cultura. Accanto a lui, come secondo ambasciatore, vi era Ben-Ahmed El-Rifi. Completavano la missione Ahmed El-Querdudi, in qualità di segretario, e suo figlio Mohamed, insieme a due Kaid-el-mia: Mohamed Ben Abd-el-Jalak e Hach Ahmed Taitai. La loro presenza a Roma suscitò grande interesse e rispetto, non solo per il gesto ufficiale ma anche per l’eleganza e la dignità con cui portarono avanti la loro missione.
I doni che l’ambasceria portò al pontefice erano numerosi e di grande valore, scelti con cura per rappresentare la ricchezza della tradizione artigianale marocchina. Si trattava di veri e propri tesori del artigianato marocchino, offerti non solo come simbolo di omaggio, ma anche come mezzo di espressione culturale. I doni comprendevano:
- Numerosi tappeti pregiati, ricchi di colori e motivi geometrici tradizionali, frutto della tessitura berbera;
- Un considerevole numero di stoffe pregiate, tipiche del Marocco, alcune delle quali erano autentiche opere d’arte, con intessiture di fili d’oro;
- Fasce di seta e oro, come quelle indossate dalle dame marocchine, testimonianza della raffinatezza dell’abbigliamento femminile di corte;
- Cuscini ricamati in oro, di diverse dimensioni, anch’essi decorati con motivi elaborati e preziosi;
- Pantofole marocchine finemente decorate a mano, simbolo dell’eleganza orientale;
- Due braccialetti d’oro tempestati di rubini e smeraldi, che riflettevano l’abilità degli orafi marocchini;
- Un fermaglio per bournous (mantello tradizionale) in oro, ornato da gemme di varie specie.
Il momento centrale della visita fu lo scambio dei discorsi tra l’ambasciatore El-Torres e Papa Leone XIII, un dialogo intriso di deferenza, diplomazia e speranza. Il discorso dell’ambasciatore si apriva con una formula solenne di invocazione divina: “L’Augusto Sovrano del Marocco, nostro Signore, Dio lo favorisca, mi ha inviato in qualità di Ambasciatore alla Vostra Dignità eccelsa”. Da lì, esprimeva le felicitazioni del Sultano per il cinquantesimo anniversario sacerdotale del papa, riconoscendo come tutti i popoli del mondo – Europa, Asia, America – avessero partecipato a tale evento. Il Sultano, si sottolineava, desiderava “cementare l’amicizia” con il Papa “su basi solide”, consapevole dell’influenza spirituale e morale del Pontefice e della sua opera per la pace e la giustizia.
L’ambasciatore rievocava poi i rapporti storici tra il Marocco e i Religiosi Francescani, tradizionalmente presenti nel territorio marocchino, esprimendo il desiderio del Sultano di rinnovare, corroborare e consolidare tale amicizia. A suggello del messaggio, El-Torres consegnava una lettera scerifiana ufficiale, nella quale si auspicava che la felicità del Papa fosse anche quella del Sultano, e viceversa, in una visione condivisa di bene universale.
La risposta di Papa Leone XIII fu calorosa, rispettosa e profondamente significativa. Egli accolse la lettera del Sultano con “la più alta considerazione” e affermò di riceverla con “giubilo” come prova di cortesia e deferenza. Riconobbe apertamente il valore del gesto del Sultano, che si era distinto tra i reggitori dei popoli nel voler stringere amicizia con la Santa Sede.
Il Pontefice espresse poi viva compiacenza per la presenza in mezzo all’ambasceria di un membro dell’Ordine Francescano, ricordando come tale Ordine avesse da sempre scelto l’Africa – e in particolare il Marocco – come uno dei principali campi della propria missione. Mostrò gratitudine per le parole rivolte a questi religiosi e si disse certo che si sarebbero dimostrati degni della benevolenza e protezione di Sua Maestà. In chiusura, Leone XIII formulò voti di salute e gloria per il Sultano, rievocando le parole del grande Gregorio VII, che secoli prima aveva intrattenuto relazioni pacifiche con Azir, Re della Mauritania.
Il Giubileo Sacerdotale di Leone XIII, così arricchito da questo straordinario incontro interculturale, divenne un esempio concreto di diplomazia religiosa, capace di superare barriere geografiche e spirituali. L’ambasceria marocchina rappresentò non solo un gesto di amicizia, ma anche un messaggio universale: la possibilità di cooperazione tra fedi diverse, nell’orizzonte comune del rispetto, della pace e del bene dell’umanità.
Nota storica: va ricordato che nel 1888 l’Italia non intratteneva ancora relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Dopo la presa di Roma del 1870, i rapporti tra il Regno d’Italia e il Papato erano gravemente compromessi, e il clima politico era segnato da forte anticlericalismo. In tale contesto, molti giornali cattolici italiani sottolinearono con amara ironia come l’ambasciatore musulmano del Marocco avesse mostrato più rispetto e dignità nei confronti del Papa rispetto a molti politici italiani dell’epoca, che spesso attaccavano pubblicamente il pontefice. Questo rafforzò ancor più l’eco morale e politica dell’iniziativa marocchina, facendo del gesto del Sultano un simbolo di civiltà e dialogo che superava le barriere religiose.
Marco Baratto