Marocchini del mondo.. Siamo la terza parte dieci.. La voce della dignità non è carta da contrattare

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Ott 1, 2025 #Marocco, #politica

Decenni fa, noi marocchini del mondo viviamo in un netto paradosso: siamo una vera potenza, contribuiamo all’economia nazionale con miliardi di rimesse, manteniamo il Marocco irradiato attraverso i continenti e instilliamo nei nostri figli l’amore per la patria nonostante la distanza. Tuttavia, agli occhi delle istituzioni del nostro Paese, restiamo solo una comunità che viene ricordata quando serve e dimenticata a fine stagione, un dato finanziario nei bilanci bancari e un argomento stagionale sui tavoli delle feste. Siamo la tredicesima festa, una festa reale e simbolica al tempo stesso, una geografia che si estende sulla mappa del mondo e un essere umano che porta il Marocco nella memoria, nella lingua, nella cucina e nei rituali. Abbiamo lasciato il Marocco con i nostri corpi, ma è rimasto in noi un passaporto eterno, né strappato dalle distanze né conquistato dall’alienazione.

Un anno prima, il re aveva lanciato un discorso dettagliato, invocando la costruzione di un’istituzione forte che collegasse le filiali alle risorse e aprisse un ponte strategico tra le competenze all’estero e la patria. Questo discorso era una tabella di marcia, se non fosse che ciò che seguì fu il silenzio delle istituzioni e la stagnazione del consiglio comunitario, che col tempo si trasformò in un’interfaccia simbolica inefficace. Qui sorge la domanda: è ragionevole lasciare questo enorme capitale umano inutilizzato, mentre il Paese ha un disperato bisogno di tutte le sue energie in patria e all’estero?

Il fatto che il dibattito si sia concentrato sulla “partecipazione politica” della comunità non è ancora all’altezza delle sfide. Alcuni la limitano ai seggi parlamentari o alle urne, mentre la partecipazione è più ampia e profonda. Per un figlio di seconda o terza generazione a Parigi o Montreal, una scheda elettorale non avrà importanza se non troverà una scuola che gli insegni la lingua, un centro che gli apra le porte alla cultura marocchina o un’istituzione che rafforzi la sua appartenenza. La rappresentanza non inizia dalle urne, ma dall’identità. E l’identità, man mano che si costruisce, diventa un’estensione naturale di una politica infinitamente sconnessa.

I marocchini del mondo, nonostante tutte le esclusioni e le emarginazioni, praticano quotidianamente la loro cittadinanza: issano la bandiera marocchina nelle manifestazioni sportive e culturali, preservano la cucina marocchina nei piccoli ristoranti in Europa, inculcano nei loro figli la memoria marocchina in più lingue, si impegnano nella difesa delle questioni nazionali nello spazio mediatico e del diritto internazionale. Che facciano ciò che le istituzioni dovrebbero fare, ma con potenziale individuale e con coscienziosa determinazione.

Da qui, la questione politica si fa più ampia: a cosa serve un consiglio comunitario che rimane assente dalle nostre preoccupazioni quotidiane? A cosa servono istituzioni che lanciano slogan senza offrire centri culturali o piattaforme che mettano in contatto le nuove generazioni con il Marocco? Vale la pena di ricostituire il Consiglio con una nuova composizione, giovane, scientifica, creativa, capace di leggere i cambiamenti globali e di starvi al passo per il bene del Paese?

Che i marocchini nel mondo non sono un peso, come a volte dipinge, ma una risorsa strategica: capitale umano, una rete di relazioni, competenze scientifiche ed economiche, energie giovanili. Sono una diplomazia dal basso che rafforza l’immagine del Marocco, la naturale estensione del suo soft power. Ma questo potere rimane ostacolato se non si trova un quadro istituzionale flessibile ed efficace che lo sostenga.

Non chiediamo privilegi, ma verità. Il nostro diritto a essere partner e non spettatori, cittadini a pieno titolo e non giornali di circostanza. Chiediamo un vero consiglio che pulsa di competenze provenienti dall’esperienza, sedi di rappresentanza nella grandiosità delle capitali, istituzioni culturali che ravvivino l’identità dei nostri figli, programmi educativi che riconnettano le nuove generazioni alla propria lingua e alla propria terra.

Il mondo marocchino non è un lusso rinviabile, né la nostra tesoreria finanziaria viene chiamata a rispondere quando necessario. Si tratta di un documento nazionale strategico in un periodo di trasformazioni internazionali, e gestire il loro dossier in modo superficiale o con rinvio indefinito è impossibile.

A tal fine, i messaggi chiave che devono essere comunicati in modo chiaro sono:
Attivazione del discorso reale: non basta che rimanga un riferimento simbolico, ma bisogna tradurlo in un’istituzione universitaria, efficace, con reti di lavoro reali.

Riformare il consiglio della comunità: rifondarlo con una composizione giovane e competenze reali provenienti dal cuore dell’esperienza, affinché sia ​​uno spazio di pensiero strategico senza un’interfaccia formale.

Identità prima della politica: costruire centri culturali, sostenere l’istruzione in arabo e amazigh, fornire libri e spazi che rendano l’appartenenza una realtà quotidiana.

Una vera partnership: considerare i marocchini del mondo come partner nella formulazione delle politiche pubbliche legate alla migrazione e allo sviluppo, non solo come soggetti da gestire.

Diplomazia parallela: integrare le competenze Jali nella difesa delle questioni nazionali, in primo luogo la questione del Sahara marocchino, beneficiando della loro presenza nelle istituzioni internazionali.

“Terza parte” non è un semplice slogan letterario, ma una visione strategica. E chi non coglie questa verità, il Marocco perde un inestimabile potere umano e simbolico.

Siamo i marocchini del mondo, i figli della patria all’estero, siamo la patria quando è alienata e quando è rinnovata. Siamo il terzo.

Zakia Laroussi

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