Marocco: indipendenza, diplomazia silenziosa e un’identità geopolitica in evoluzione

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Nov 18, 2025 #dialogo, #Marocco, #politica

Il 18 novembre il Marocco celebra la Festa dell’Indipendenza, ricorrenza che segna la fine del protettorato francese e la piena riconquista della sovranità nazionale nel 1956. Questa data, oltre a evocare un momento fondativo della memoria collettiva marocchina, rappresenta un punto d’osservazione privilegiato per comprendere l’evoluzione della postura geopolitica del Paese, il suo approccio alle crisi regionali e la natura peculiare della sua diplomazia: lenta, silenziosa, ma spesso estremamente efficace.

Quest’anno, la celebrazione assume una valenza particolare poiché si inserisce nel contesto del 50º anniversario della Marcia Verde, l’evento simbolico attraverso cui il Marocco affermò la propria volontà di completare l’unità territoriale. L’intreccio tra la commemorazione dell’indipendenza e quella della Marcia Verde crea una narrativa nazionale centrata su resilienza, continuità storica e progressivo consolidamento dell’integrità statale. Un duplice anniversario che rispecchia anche i recenti successi diplomatici del Paese, soprattutto sul fronte del Sahara , dove Rabat ha ottenuto negli ultimi anni crescenti riconoscimenti internazionali delle proprie posizioni.

Tuttavia, per comprendere davvero il significato geopolitico di questa ricorrenza occorre osservare un tratto caratteristico della politica estera marocchina: la capacità di esercitare influenza attraverso un lavoro graduale e discreto, attento ai delicati equilibri regionali e volto a costruire relazioni stabili con attori spesso in tensione tra loro. Il Marocco non è un Paese che cerca i riflettori, né si propone come potenza regionale assertiva; preferisce invece il metodo della diplomazia “paziente”, basata su mediazioni, dialoghi informali e un posizionamento che mira più alla stabilità che alla competizione.

Questo stile diplomatico è emerso con particolare chiarezza nel contesto delle crisi che hanno sconvolto il Medio Oriente negli ultimi anni. La guerra a Gaza ha rappresentato uno dei momenti più complessi e delicati per il mondo arabo, costringendo ogni Paese della regione a una scelta tra l’esposizione frontale e l’azione discreta. Il Marocco ha optato per la seconda via. Pur riconoscendo la causa palestinese come “causa nazionale”, il regno ha scelto di non alimentare la retorica dello scontro né di assumere posizioni che potessero radicalizzare ulteriormente il contesto diplomatico.

Gli aiuti inviati dal Marocco alla popolazione di Gaza sono transitati attraverso l’aeroporto Ben Gurion: un fatto che, letto in controluce, rappresenta molto più di un semplice dettaglio logistico. È un messaggio strategico. Il Marocco, che mantiene relazioni con Israele , mostra così di utilizzare quei canali non per allontanarsi dal mondo arabo, ma per creare punti di accesso e comunicazione anche nei momenti di maggiore tensione. In un’area in cui la diplomazia spesso si esprime attraverso dichiarazioni roboanti e posizioni drastiche, Rabat preferisce la sottigliezza del gesto, consapevole che la fiducia tra attori avversari si costruisce anche in tempi di conflitto e che la moderazione può diventare un capitale politico prezioso.

Non è escluso — pur trattandosi di una supposizione più che di un dato verificabile — che questo lavoro sotterraneo abbia sostenuto, in qualche misura, anche le iniziative di altri Paesi arabi più esposti mediaticamente nel dossier di Gaza, come il Qatar. Doha ha spesso assunto il ruolo di mediatore visibile, negoziando scambi di prigionieri e pause umanitarie; ma affinché tali mediazioni siano possibili, è necessario che esistano reti diplomatiche più informali e relazioni indirette che facilitino il dialogo. Il Marocco, proprio grazie alla sua capacità di mantenere un filo di comunicazione con tutte le parti — arabi, israeliani, occidentali — potrebbe aver contribuito a creare l’ambiente diplomatico che ha reso possibili alcuni dei passi successivi.

Questa postura non nasce dal caso. Essa affonda le sue radici nella storia stessa del Regno, nella figura del monarca come simbolo di continuità e garante dell’equilibrio tra tradizione e apertura internazionale. Il Marocco, a differenza di altri Paesi della regione, non ha vissuto né rivoluzioni violente né crolli istituzionali negli ultimi settant’anni. La sua stabilità politica è diventata uno snodo strategico e un elemento di attrazione per partner europei, africani e mediorientali. Di fronte alla crescente instabilità in Sahel, alla competizione nel Mediterraneo e al mutamento delle alleanze globali, Rabat si propone come un attore affidabile, che privilegia la cooperazione intercontinentale (soprattutto con l’Africa subsahariana) e che cerca di posizionarsi come ponte tra mondi diversi.

Per l’Europa, questa indipendenza celebrata ogni 18 novembre non è un dato puramente storico, ma una chiave per interpretare meglio le scelte contemporanee del Marocco. Troppo spesso gli osservatori europei tendono a considerare Rabat solo in funzione dei dossier migratori o della cooperazione economica, senza cogliere la complessità del suo ruolo geopolitico. Studiare il Marocco in modo “più scientifico”, come merita, significa riconoscere la coerenza della sua diplomazia, la logica che guida il suo equilibrio tra Occidente e mondo arabo, e la capacità di costruire influenza non attraverso il clamore, ma attraverso la continuità.

La Festa dell’Indipendenza, allora, non è soltanto un momento celebrativo, ma il simbolo di un percorso più ampio: quello di un Paese orgoglioso della propria sovranità, consapevole della propria storia e determinato a esercitare un ruolo attivo — benché spesso discreto — nella regione. In un mondo frammentato, dove le crisi si moltiplicano e i blocchi si irrigidiscono, il modello marocchino offre una lezione preziosa: la forza della diplomazia non risiede sempre nella visibilità, ma nella capacità di costruire nel tempo, con pazienza e coerenza, un capitale di fiducia che può diventare, quando necessario, determinante.

Marco Baratto

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