Le manifestazioni “spontanee”: tra piazze ribollenti e regie occulte

Diwp

Set 16, 2025 #Marocco, #politica, #religione

Il recente episodio riportato da Le Monde il 10 settembre 2025 – teste di maiale depositate davanti a moschee in Île-de-France – getta una luce inquietante sul clima politico e sociale in Europa. Secondo il Parquet di Parigi, a compiere il gesto sarebbero stati individui stranieri già rientrati nei loro Paesi di origine, lasciando aperti molti interrogativi. È un episodio simbolico, che si inserisce in un contesto più ampio di mobilitazioni di piazza, proteste e tensioni che, seppure presentate come “spontanee”, sembrano seguire dinamiche ben più complesse.

In diversi Paesi occidentali – Regno Unito, Francia, Australia – stiamo assistendo alla comparsa di manifestazioni con slogan identitari, patriottici o di difesa dei valori tradizionali. Tra queste, movimenti come “Rise the Color” sembrano raccogliere energie latenti, rabbia sociale, frustrazione economica e paure identitarie. Ma la domanda che sorge spontanea è: davvero siamo di fronte a fenomeni genuinamente popolari, nati dal basso, o esiste una regia esterna che orienta, finanzia e sfrutta queste mobilitazioni?


L’illusione della spontaneità

La storia insegna che poche mobilitazioni sono davvero “spontanee”. Le grandi piazze del Novecento – dalle rivolte del ’68 ai movimenti antiglobalizzazione, fino alle “rivoluzioni colorate” in Europa orientale – hanno spesso avuto alle spalle strutture organizzative, sostegni finanziari e spinte geopolitiche. Non si tratta di negare la rabbia genuina dei cittadini: quella è reale, palpabile e spesso legittima. Ma la trasformazione di un malcontento diffuso in un movimento organizzato, con slogan unificanti, logistica, comunicazione social coordinata e capacità di mobilitare migliaia di persone, raramente avviene senza supporti esterni.

In questo senso, le manifestazioni odierne in Europa e nel mondo anglosassone pongono interrogativi cruciali: chi finanzia i viaggi, i materiali, la propaganda digitale? Chi fornisce i megafoni, i palchi, le grafiche coordinate diffuse sui social? E soprattutto: a chi giova destabilizzare governi democraticamente eletti come quelli francese o britannico?


Il comune denominatore: indebolire l’Europa

Al di là delle rivendicazioni locali, un filo conduttore sembra emergere: la fragilizzazione delle istituzioni occidentali. Francia e Regno Unito, entrambi Paesi centrali nello scacchiere geopolitico europeo, attraversano momenti delicati. Parigi deve far fronte a tensioni interne tra inflazione, immigrazione e crisi di fiducia verso la politica; Londra non ha ancora metabolizzato le fratture della Brexit e affronta una società polarizzata. Mobilitare piazze contro questi governi, alimentare la narrativa di élite lontane dal popolo, significa indebolire la loro capacità di azione, soprattutto sul piano internazionale.

È un pattern che ricorda dinamiche storiche: la guerra fredda, ad esempio, fu anche un conflitto di propaganda e di piazze. Non è quindi assurdo ipotizzare che oggi, in un contesto di multipolarismo esasperato, attori esterni abbiano interesse a spingere verso il caos, per ridurre la coesione europea e mettere in difficoltà la NATO.


Una nuova “Yalta”?

L’impressione – pur senza prove, ma sulla base di indizi e coincidenze – è che queste manifestazioni possano essere eterodirette. Non si tratterebbe soltanto di sfoghi popolari, ma di strumenti di guerra ibrida: proteste presentate come spontanee ma in realtà funzionali a interessi geopolitici. L’obiettivo? Creare instabilità nei governi europei e anglosassoni, spingerli a commettere errori, esporli a crisi di consenso.

Qualcuno potrebbe chiedersi: da dove parte questa regia? L’idea che in Alaska, lontano dai riflettori, si possano gettare le basi per una nuova “Yalta” – un accordo tacito tra potenze per spartirsi sfere di influenza – non appare più così peregrina. Il mondo di oggi assomiglia meno a quello delle certezze unipolari e più a una partita a scacchi multipolare, in cui ogni mossa è giocata anche attraverso strumenti indiretti: campagne digitali, piazze accese, simboli provocatori come le teste di maiale davanti alle moschee.


Patrioti o pedine?

Chi scende in piazza probabilmente si percepisce come patriota, come difensore di valori identitari messi in discussione. Ma la storia ci insegna che spesso i movimenti nati per difendere il “popolo” finiscono manipolati da forze più grandi, trasformandosi in pedine inconsapevoli di giochi geopolitici.

Dalla Primavera araba alle proteste di Hong Kong, fino agli stessi gilet gialli in Francia, il confine tra rivolta genuina e manipolazione esterna è labile. Oggi, con la potenza dei social media e delle reti di disinformazione, il rischio di piazze eterodirette è ancora più alto.


La lezione del passato

Non esistono “manifestazioni popolari” in senso puro. Ogni grande mobilitazione richiede organizzazione, logistica, risorse. I veri movimenti dal basso raramente riescono a mantenere costanza e visibilità senza il supporto di reti più ampie. Il rischio, oggi, è che l’Europa cada nuovamente in una trappola: quella di sottovalutare l’uso politico delle piazze da parte di potenze esterne.

La storia è piena di esempi di come movimenti “patriottici” siano stati alimentati per indebolire governi considerati scomodi. L’attuale congiuntura europea, con governi sotto pressione economica e sociale, rappresenta un terreno fertile per chi vuole gettare benzina sul fuoco.


Conclusione

Il caso delle teste di maiale in Francia è solo un tassello di un mosaico più ampio: provocazioni simboliche, proteste apparentemente spontanee, piazze che si accendono in modo simultaneo in diversi Paesi occidentali. Il sospetto, legittimo, è che ci sia molto di più dietro queste mobilitazioni di quanto appaia a prima vista.

Non si tratta di negare il malcontento sociale, né di criminalizzare chi protesta. Ma è doveroso interrogarsi su chi trae vantaggio dall’instabilità. Oggi più che mai, la fragilità interna dell’Europa rappresenta un’opportunità per chi vuole ridisegnare gli equilibri globali. E se davvero, in qualche remoto angolo del mondo, si stanno tracciando le linee di una nuova Yalta, allora le piazze europee rischiano di esserne inconsapevoli strumenti.

Marco Baratto

Di wp