Il Marocco in attesa della propria voce: quando la cultura diventa un atto di sovranità

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Ott 23, 2025 #cultura, #Marocco, #politica

Ci sono silenzi che pesano più delle parole. Il silenzio che circonda la cultura marocchina a Parigi è uno di questi. Mentre vengono firmati accordi economici, si susseguono forum diplomatici, i discorsi sulla cooperazione si accumulano negli archivi, rimane un’altra realtà, più sottile, più dolorosa: quella di un Paese la cui voce culturale non trova eco nel cuore della capitale mondiale delle arti. Come ammettere che il Marocco, che ha plasmato secoli di pensiero, poesia, scienza e spiritualità, non abbia ancora, a Parigi, un luogo degno di questa memoria, uno spazio vivo, libero, dove la sua immaginazione possa respirare all’altezza della sua storia? La questione non è amministrativa, è esistenziale. Un centro culturale marocchino a Parigi non sarebbe un’istituzione in più nella rete ovattata delle cancellerie, ma un atto di sovranità, un gesto di fede nei confronti della cultura come legame tra i popoli e specchio della nazione.

Il Marocco ha dato al mondo viaggiatori e filosofi, narratori e costruttori di universi. Ibn Battouta, Ibn Rochd, Leone l’Africano, i maestri anonimi delle mederse di Fès o delle zaouïa del sud, tutti hanno fatto del sapere un’arte di vivere e del dialogo un modo di esistere. La loro eredità non richiede un museo, ma un soffio. Eppure, a Parigi, questo soffio manca. Non si tratta di rivendicare una vetrina folcloristica, ma di aprire uno spazio di pensiero, un luogo di parola e di creazione dove il Marocco possa esprimersi nella sua pluralità e modernità. Perché questo Paese non è solo un territorio, è una voce – multipla, meticcia, attraversata dalla memoria dell’Africa, del Maghreb, dell’Europa e dell’Oriente.
Questa mancanza, oggi, è percepita come una ferita. La Maison du Maroc esiste, certo, ma il suo slancio si è spento sotto il peso delle procedure, delle lentezze e di una visione ristretta di ciò che dovrebbe essere la cultura. La cultura non ha bisogno di autorizzazioni: ha bisogno di orizzonti. Non ha bisogno di amministratori: ha bisogno di mediatori. Ciò che manca a Parigi non è una facciata con i colori del regno, ma un cuore pulsante, un luogo dove gli artisti marocchini di Francia e di altri paesi possano incontrarsi, esporre, discutere, inventare insieme nuove forme di dialogo tra le due sponde.

In un mondo saturo di strategie economiche e diplomazie interessate, la cultura rimane l’ultimo territorio di sincerità. È l’ambasciata invisibile di un paese, il suo volto più duraturo, quello che sopravvive alle congiunture e ai governi. Si possono firmare mille accordi, ma una sola poesia, una sola mostra, un solo film possono fare più per l’immagine di un paese di tutti i trattati messi insieme. L’assenza di un centro culturale marocchino a Parigi non è quindi un semplice ritardo, è un vuoto simbolico… un vuoto che mette in discussione il rapporto del Marocco con se stesso, con la sua gioventù, con il suo genio interiore.
Creare un centro di questo tipo significherebbe ridare slancio e coerenza a una presenza culturale frammentata. Significherebbe riconoscere la potenza di un’eredità che non chiede di essere celebrata, ma di essere vissuta. Significherebbe, infine, offrire al mondo l’immagine di un Marocco fiducioso nelle sue parole e nel suo umanesimo. Perché la cultura, lungi dall’essere un lusso, è una necessità politica. È la forma più sottile di diplomazia, forse la più vera, perché parla al cuore prima di parlare agli interessi.

Il Marocco non deve più accontentarsi di partecipare ai dialoghi, ma deve ispirarli. Non deve più aspettare che gli venga data la parola, ma deve riprenderla. Parigi non ha bisogno di un ennesimo monumento amministrativo, ma di un luogo di luce, di respiro e di presenza. Questo centro culturale non sarebbe un simbolo di prestigio, ma una dichiarazione di esistenza: quella di un Paese che rifiuta il silenzio e che sceglie, finalmente, di parlare al mondo attraverso l’unica lingua che non invecchia mai, quella della cultura.

Zakia Laroussi

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